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446 Firenze vecchia


ripetutamente sulla cimasa del trogolo, facendo quel rumore particolare che nell’inverno pareva diaccio, e faceva venire i brividi.

I tintori che mandavano a lavare le stoffe al lavatoio delle Stinche, avevano le loro antiche botteghe in Via Cornacchiaia, Via de’ Vagellai, Via de’ Saponai, Via MIosca, e Piazza delle Travi, dov’era il tiratoio. La seta però andavano a lavarla ai lavatoi di Via delle Torricelle, ora del Corso dei Tintori, passata la caserma dei dragoni, che sull’architrave aveva lo stemma dell’Arte della Lana. Fra le tintorie più rinomate portavano il vanto quelle Guerrini, Bonini e Querci; ed eran tenute in assai pregio per tingere di nero e di scarlatto, tanto le stoffe di seta che di lana. Per lo scarlatto era superiore a tutti la tintoria Querci, alla quale la Repubblica assegnò perfino una pensione annua di diversi fiorini, che le fu mantenuta fino al 1700.

Le tintorie fiorentine avevano grandi commissioni dal Levante, dove i nostri mercanti facevano continue spedizioni dei tessuti di seta, operati, a fiorami e damascati, e dei panni di lana nei quali consisteva l’industria di Firenze, che era però di già agli estremi ma che fino allora per la città era una ricchezza; ed una brava tessitora, quando rimetteva al fabbricante ogni mese una tela, riscuoteva per lo meno dieci o dodici scudi. E facile immaginare perciò quanto fosse l’agiatezza anche in molte famiglie del basso popolo, le donne del quale la festa facevano grande sfoggio di gioie, di orecchini o buccole - come le chiamavano - e di vezzi di perle di molto valore.

Le Stinche mettevano malinconia al solo vederle: perciò ingentiliti i costumi, e desiderosa la cittadinanza di toglier di mezzo quello sconcio, il granduca Leopoldo II, che per verità ebbe sempre passione di abbellire Firenze ed accrescerne le comodità, con decreto del 15 agosto 1835 sanzionando le trattative già in corso fin dal 1833 ne ordinò la vendita, perchè venissero destinate ad usi privati e più decorosi.