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32 Firenze Vecchia

generale Gaultier e il commissario Reinhard, scortati da poca cavalleria, si diressero a Livorno, seguiti da pochi patriotti che preferirono di esulare da Firenze, piuttosto che esporsi alle vendette dei reazionari, i quali rialzaron subito la cresta, ed incitarono i mercatini, i facchini, i conciatori e i navicellai del Pignone, a molestare i giacobini, o coloro come tali ritenuti, i quali furon perseguitati con ogni maniera, di danni e d’offese.

I reazionari, coraggiosi sempre quando il nemico non c’è più, diffondevano a centinaia di copie una poesia fregiata dello stemma di Ferdinando III, dovuta al peregrino ingegno di un tal «Dott. G.P. I. Pastor Arcade» e intitolata «L’inganno della libertà schiarito ai popoli toscani.»

Sarebbe afflizione troppo grande il riprodurre le venticinque strofe di quella poesia: ma per darne un’idea, essendo una caratteristica pittura della scena su cui si svolgevano tanti fatti, bisogna pur riportarne saltuariamente qualcuna:

 Oh! che bella libertà
Ci portò la gran Nazione
Che con quindici persone
Conquistando il mondo va.
Oh! che bella libertà.


 Una statua, un arboscello
Ch’apre i sensi il reo sentiero
Son quel nume lusinghiero
Che soldati ognun ci fa.
Oh! che insana libertà.


 Mentre poi con tal follia
Farci liberi pretende
Tanti schiavi ella ci rende
Al suo orgoglio e vanità.
Che tiranna libertà.


Mentre tutti arbitri siamo
Con l’orpel de’ Cittadini,
I francesi han gli zecchini
esta a noi la scarsità.
Oh! che scaltra libertà.


Nella gottica eguaglianza
Che ci portan questi eroi
La miseria è sol per noi
Lor han sol felicità.
Oh! che trista libertà.


Mangian ôr, mangian argenti
Fan dei tempii orride stragi
Vuotan fondachi e palagi
Per coprir lor nudità.
Che inumana libertà.


Ove appar questa canaglia
Porta fame e carestia
E la pace e l’armonia
In sussurri se ne va.
Che molesta libertà.


I più finti, i più mendaci
Mai di lor formaro i cieli;
Traman danni i più crudeli
Mentre affettan amistà.
Che ingannevol libertà.

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