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408 Firenze Vecchia


darsi, si allontanavano. Allora un contadino si fermava e domandava anche lui il prezzo. L’orologiaro d’occasione mostrava un sacrilegio d’orologio che battezzava per un «Vacheron Costantin» e gli chiedeva trenta lire. Il contadino per non sbagliare gliene offriva venti; e il mercante quasi offeso gli voltava le spalle e se ne andava più in là, come per liberarsi, scandalizzato, dal contatto di quell'audace.

Il villano mortificato lo seguiva con gli occhi pieni di desiderio, non arrischiandosi ad avvicinarsi di nuovo per paura d’esser trattato male.

Allora un altro imbroglione, di balla col primo, usciva fuori e fermandosi dinanzi all’orologiaro gli offriva due lire di più del contadino. MIa l’altro non accettava e andava più in là ancora. Il credulo villanzone fattosi coraggio tornava, e offriva ventiquattro lire: ed il truccone ripigliava in mano l’orologio, lo guardava e ne offriva ventisei, che venivano rifiutate.

Finalmente, aumentando qualche altro soldo, il contadino finiva per fare quel beli’ acquisto di cui aveva luogo a pentirsi appena arrivato a casa.

Il bello però si era che il più delle volte quegli orologi che parevan d’argento, non eran che d’ottone argentato!

Uno dei più bravi tra quei furfanti era un certo Mercurio, famoso per appiccicare dei cosiddetti cerotti a quei contadini, che se ne ricordavano finché campavano.

Se poi e’ era qualcuno che voleva fare un baratto, questo per l’orologiaro diventava un affar d’oro addirittura. Cominciava dallo sberciare subito l’orologio vecchio, e diceva immancabilmente: — Che volete voi ch’i’ faccia di questa cazzeruola? — e lo restituiva facendo lo scontroso.

Il contadino si piccava e finché non aveva avuto un orologio peggio di quello che dava, aggiungendovi quindici o venti paoli non era contento.

Vedete per quali arcane vie la Provvidenza gastigava i contadini per quello che rubavano ai padroni!