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una piramide, dove sorgeva la città d’Arezzo, rispondevano che più facile sarebbe stato agli aretini formarne una di teste di giacobini e di soldati francesi, ponendovi in cima quella del comandante Mesange, che era scappato con la compagnia, appena scoppiata la rivolta.

La chiusa poi era enfatica quanto mai. Dopo aver detto che gli aretini non s’inchinavano che a Dio e «alla grande protettrice Maria» in nome della quale però, commisero ribalderie senza nome, concludevano ammonendo il Macdonald: «Vergognatevi delle vostre insultanti minacce: e chinando gli occhi a terra, riconoscete il vostro delitto; tremate che il Dio delle vendetta non vibri sul vostro capo quel folgore che oramai vi striscia intomo, e che certo non isfuggirete, se al lungo errore non succede un pronto e sincero ravvedimento. » Considerate da quali pulpiti si dovevan sentir tali prediche!...

Il Macdonald con le sue truppe si mosse allora da Siena e marciò prima su Cortona, avendo intenzione di continuar poi per Arezzo e sottomettere con le armi le due ribelli città. I cortonesi meno fermi degli aretini, appena furono in vista i soldati francesi, andaron loro incontro; e fatto atto di sottomissione al generale, fu ripristinato il governo francese e rimessi gli alberi della libertà.

Il Macdonald non potè però continuare la sua marcia sopra Arezzo perchè gli austro-russi gli davano da fare altrove. Per conseguenza dovè lasciar la Toscana, dando così agio ai ribelli di continuare nelle loro imprese: le quali, benché mascherate dai gridi di Viva Maria, nascondevano il fine del saccheggio e delle maggiori bricconate, che potessero aspettarsi da una masnada di quella fatta.

La prima marcia degli insorti fu sopra Siena, dove appena giunti abbassarono l’albero della libertà in tutte le piazze e ne fecero un rogo, sul quale bruciarono tredici disgraziati ebrei, accusati di partigianeria verso i francesi, per avere un motivo di sfogare su di essi la loro malvagità. Il più bestiale tra i condottieri di quella canaglia, era un frate