Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
404 | Firenze Vecchia |
anche i postini di campagna, che venivano a prendere le lettere; e si riconoscevano dalla tuba, dai calzoni corti e la bolgetta a tracolla.
Fra tutta quella gente giravano e si fermavano qua e là i ciechi, che cantavano sulla chitarra, o sonatori d’arpa e di violini, che aumentavano il baccano e la confusione.
Ma più aspetto di fiera, la Piazza del Granduca lo prendeva il martedì e il venerdì, giorni di mercato. Allora poi, per chi non aveva nulla da fare, era un divertimento davvero. In quei due giorni la prevalenza su tutti i ciarlatani soliti, e su gli altri che ingombravano la piazza, la prendevano i dentisti ed i ciarlatani di lusso, che venivano di fuori di Firenze. I più celebri furono un certo Niccolai, un tal Billi, Trentuno, e più tardi il Tofani, che fu l’ultimo della specie.
Il Niccolai che veniva da Pistoia, si fermava dinanzi alla Posta; e standosene ritto sul suo calesse, tutto polveroso o infangato, spiegava al pubblico di contadini e di vagabondi, — dei quali grazie a Dio non c’è mai stata
penuria — che lo attorniavano in folla stando ad ascoltarlo a bocca aperta, tutti i meravigliosi pregi di certi suoi cerotti per le piaghe d’ogni genere e d’ogni origine; degli unguenti per i dolori d’ogni specie, compresi quelli morali; acque per le malattie d’occhi, da fare accecare chiunque; e rimedi miracolosi per gli zoppi che a sentirlo, dovevan buttar via le gruccie, non rimanendo però responsabile se dando retta a cieco, sonatore di lui, sarebbero andati a gambe all’aria.
Il Billi si piantava con la sua carrozza un centinaio di passi distante dal collega, più che rivale, vendendo i soliti intrugli, i soliti rimedi, che dopo tante incertezze e mezzi pentimenti, molti contadini sempre diffidenti delle cose buone ma creduli alle ciarlatanerie, finivan per comprare, avendo