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ed essersi opposti al passo della legione polacca, ausiliaria dell’armata della repubblica, si imponeva alle due città di liberare entro ventiquattr’ore dalla notificazione dell’editto i cittadini toscani e francesi incarcerati nei fatti del 16 e 17 fiorile, e di mandare a Firenze venti ostaggi scelti fra i possidenti e funzionari pubblici delle due città da rimanervi sotto la protezione delle leggi, intanto che le truppe francesi occupassero militarmente tanto Arezzo che Cortona.

Passato questo tempo inutilmente, le dette città e le comunità circonvicine, sarebbero state dichiarate ribelli e ridotte all’obbedienza con la forza delle armi. Il paragrafo VII poi conteneva questa esplicita comminazione: «Tutti i proprietari nobili domiciliati nelle dette città, tutti i preti aventi dei benefizi, che non sono di quelli con cura d’anime, i quali non usciranno subito da queste città dichiarate in stato di ribellione aperta, e non si recheranno a Firenze, verranno considerati come capi di rivolta, puniti come tali, e i loro beni saranno confiscati a profitto della repubblica.»

Quest’editto inasprì sempre più gli animi dei rivoltosi.

Allora il generale in capite jMacdonald emanò da Siena in data del 3 pratile (23 maggio) questa, che giustamente fu detta feroce ordinanza:

«Art. I. Nel corso di 24 ore dalla notificazione della presente risoluzione, le comunità d’Arezzo e di Cortona poseranno le armi, e invieranno una deputazione al Generale in capite composta dei principali cittadini, per assicurarlo della loro sommissione e per servire d’ostaggio.

Art. 2. Mancando esse di conformarsi al precedente articolo nella dilazione prescritta, si manderanno delle colonne di truppe francesi e dei cannoni, per assoggettare i ribeili con la forza.

Art. 3. In caso di resistenza, tutti gli abitanti saranno passati a fil di spada, e le città date in preda al saccheggio e alle fiamme.

Art. 4. Le due città d’Arezzo e di Cortona, saranno distrutte e rase.