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La festa della libertà e i frutti dell’albero 21


Alle tre pomeridiane (oggi bisognerebbe dire alle quindici) il generale Gaultier si mosse dal Palazzo Corsini in Lung’Arno, dov’era andato ad abitare lasciando il Palazzo Riccardi, per recarsi alla festa che aveva attirato agli sbocchi della Piazza Nazionale, occupata quasi tutta dal recinto, tanta folla che pareva si schiacciasse contro l’impalancato.

Il generale col suo stato maggiore, preceduto da due reggimenti di piemontesi e di cisalpini e seguito da un distaccamento di ussari e da uno di cacciatori a cavallo, fece sfilare tutta quella truppa per Via Maggio fino a San Felice; voltando poi per Piazza de’ Pitti, oltrepassando il Ponte Vecchio per Por Santa Maria, entrò trionfalmente in Piazza, accolto da applausi assordanti.

Il commissario Gaultier con la cittadina sua moglie, circondato dalle principali autorità civili e militari, aveva preso posto sopra un palco eretto sulla gradinata di Palazzo Vecchio. Le altre autorità del Comune e delle vecchie e nuove istituzioni, ebbero posto intorno alla statua della Libertà.

Le due fortezze tiravan cannonate continue in segno di gioia; e tutto un popolo, almeno per quel tempo, esultava veramente. Le truppe andarono a schierarsi nell’anfiteatro, i gradini del quale eran pieni zeppi di patriotti che parevan pazzi dalla contentezza, credendo davvero ad un’èra felice di vera libertà e di ben inteso progresso.

Appena ordinate al loro posto le milizie, venne portato sulla piazza ed introdotto nel recinto un gran carro all’antica, tutto storiato, una specie di Carroccio, tirato da quattro cavalli di fronte, e sul quale era il grande albero che doveva esser piantato.

Dietro a questo carro veniva un grosso cannone circondato da diciotto coppie di fidanzati, che dovevan darsi l’anello appena l’albero fosse stato messo dagli operai nel mezzo della piazza, ossia dell’anfiteatro.

Cerimonia curiosissima cotesta, che rimase famosa anche quando quegli sposi diventarono col tempo nonni, ed alcuni forse anche bisnonni.