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La festa della libertà e i frutti dell’albero | 19 |
e dei più moderati, generando una confusione straordinaria, e facendo più male che bene.
Per porre un freno a quel disordine d’idee, a quel moltiplicarsi istantaneo di partiti sotto diversa forma favorevoli o avversi alla Francia, il commissario Reinhard ed il generale Gaultier, ordinarono per il dì 9 d’aprile la grandiosa festa della libertà, con la collocazione dell’albero in Piazza Nazionale. A Firenze, qualunque sia il motivo che può tener discordi gli animi, quando si bandisce una festa si può star sicuri che per quel giorno nessuno pensa ad altro, e diventan tutti amici. Così avvenne il dì 9 aprile 1799.
Il 15 germinale (come registrava il nuovo calendario il giorno 5 di aprile) il Commissario francese fece affiggere un bando per invitare i fiorentini a piantare l’albero della libertà, che era quanto dire, secondo lui, «di prendere impegno di unirsi ai principii della Repubblica francese, ai suoi sacrifizi, ai suoi trionfi e alla sua gloria, per preparare la felicità dell’avvenire.» Non c’è stato mai proclama di nuovi tempi, che non abbia assicurata una futura felicità, la quale dalla creazione del mondo in poi si va sempre cercando, senza sapere chi debba mantener la promessa.
Il proclama però cominciava quasi con una specie di canzonatura, se non si fosse potuta prendere anche per un’insolenza. Infatti, il cittadino Commissario diceva subito che, essendo entrata l’armata francese senza trovar resistenza, questa armata aveva trovati i toscani e specialmente gli «abitanti di Firenze» quali erano a lui stati dipinti cioè: buoni e pacifici! E subito dopo ammoniva questi buoni e pacifici abitanti, dicendo loro che avevan fatto bene, perchè così i soldati francesi, «guerrieri terribili nelle battaglie» non avevan fatto mostra che della loro amabilità. Parole dette colla voce grossa, come chi vuol far paura ai ragazzi.
Il buon senso dei fiorentini però, valutava giustamente l’importanza delle insolenti lodi e le spacconate delle minaccie. E per non mancare al solito sarcasmo, che in Firenze è quasi di rito, cominciarono subito a chiamare i francesi