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ingresso a Firenze,» si recarono fuori della porta a San Gallo fino oltre il Pellegrino. Tutta la milizia, tanto toscana che tedesca, fin dalle sette antimeridiane era già postata per tutta la strada che doveva tenere il Sovrano, e schierata nell’interno del Duomo, per il solenne Servizio di Chiesa.

Alle otto Ferdinando III giunse con la sua comitiva alla deliziosa villa del marchese Pietro Roberto Capponi alla Pietra, ove fu ricevuto dal suo nuovo ciambellano cavaliere Amerigo Antinori e dai due ciambellani di settimana Corsi e Aldobrandini.

Il Granduca appariva mestissimo, poiché in quel momento gli tornava certo alla memoria, benché fossero trascorsi dodici anni, la infelice sua moglie morta a Vienna di parto, il 29 settembre 1802, che avendolo confortato nei primi anni del suo esilio, con tutta la soave delicatezza dell’animo suo, non era ora con lui a dividere la gioia del ritorno negli antichi Stati.

Certi ricordi, seppure carissimi, in simili circostanze, hanno tutta l’atrocità d’una pena!

Riposatosi alquanto, e cambiatisi gli abiti da viaggio per vestire il grande uniforme, Ferdinando III prese posto in una muta a sei cavalli «infioccati a gala» in compagnia del maggiordomo maggiore principe Giuseppe Rospigliosi, e del gran ciambellano già senatore Amerigo Antinori.

Seguiva quindi un’altra muta a sei cavalli con quattro ciambellani. La muta del Granduca era scortata da dodici ufiìziali del nuovo corpo dei Dragoni, i quali avevano ottenuta quella grazia, e alla portiera cavalcava il maggiore comandante il reggimento medesimo. Dalle fortezze rimbombavano le artiglierie, a cui faceva eco il suono delle campane di tutte le chiese, con universale frastuono.

Alla porta a San Gallo, Ferdinando fu ricevuto dal Gonfaloniere Bartolommei, dai Priori e dal Magistrato civico. Il Gonfaloniere gli presentò le chiavi della città; ed essendosi preparato per fare un «ben inteso discorso» analogo alla circostanza, «tale e tanta fu l’emozione provata da esso e dal