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che sono più tardi nell'apprendere; 2° che prima di fare una nuova lezione deve ripetere quella precedente, rivolgendo poche, ma opportune interrogazioni agli alunni; 3" che deve chiamare, almeno ogni quindici giorni, ciascun alunno a conferire sulle lezioni fatte, per giudicarlo e anche per aiutarlo a comprendere ciò che non gli è entrato bene in testa; 4° che deve fare ogni tanto qualche saggio scritto in classe, se la materia che insegna lo richiede, non per giudicare gli alunni, ma per collaborare con loro, aiutando i deboli a superare le difficoltà che incontrano, rispondendo alle domande che gli vengono fatte, dando un'occhiata a ciò che gli alunni scrivono, correggendo immediatamente i pensieri errati, lodando i bravi, incoraggiando i timidi e gl'incerti e spronando i pigri. Questo è un buon metodo d'insegnamento per le scuole secondarie, perchè con esso le teste degli alunni si limano, si educano, si formano; non quello che li obbliga ad ascoltare soltanto la lezione, come se assistessero a uno spettacolo pubblico.

Forse queste ed altre istruzioni pedagogiche umili, ma efficacissime, parranno non convenienti. per insegnanti forniti di laurea dottorale, benchè i vigenti programmi della scuola normale ne abbiamo delle simili, come la seguente pregevolissima, e forse inascoltata; a proposito dell'insegnamento della lingua: «la lezione non sia esposizione soltanto, ma esposizione e dialogo, e meno esposizione che dialogo». Ma, senza la conoscenza di buoni principî pratici di didattica, come si può, insegnando, acquistar presto la difficile arte insegnativa?

Nè basterebbero le buone istruzioni, senza la cer-