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possono formare senza dubbio il gusto estetico della lingua, se non mancasse il tempo, come si vedrà appresso, di assimilare e digerire ciò che si legge.

Ma non mi pare che il solo studio di questi classici possa giovare all’educazione della donna, alla qual cosa debbono mirare le buone letture. Occorrono per questo scopo libri speciali di autori e autrici che abbian diretta l’arte al fine educativo suddetto, di migliorare cioè l’animo della donna, ed io mi maraviglio che non si leggano nelle scuole normali femminili, nè come opere di lingua nè come opere pedagogiche, gli aurei libri della Franceschi-Ferrucci (Della educazione morale della donna), della Molino-Colombini (Sulla educazione della donna); della Cordelia (Il regno della donna), ecc.

Mi pare poi che quello che deve fare in classe l’insegnante di lingua italiana, in ciascun anno della scuola normale, sia di gran lunga superiore al tempo disponibile, Senza parlare di altro, il solo studio della Divina Commedia esige la massima parte delle lezioni dell’anno scolastico.

Veramente il programma prescrive: lettura e commento dei più importanti e più bei canti dell’Inferno, con notizie di tutta la cantica, pel primo anno, del Purgatorio, con notizie di tutta la cantica, pel secondo, e del Paradiso, anche con notizie di tutta la cantica, pel terzo. Ma gl’insegnanti, sia perchè trascinati dall’amore per gli studi danteschi, oggi giustamente in onore, sia per dare un concetto esatto e completo del maggior capolavoro della nostra letteratura, illustrano e commentano in iscuola, l’uno dopo l’altro, tutti i canti di ciascuna cantica, ciò che assorbe quasi tutto