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rata schiava, non compagna dell’uomo, ed a lui era permesso di farne quello che voleva.

Oh a quante insidie debbono saper resistere continuamente le donne che sono costrette ad esercitare la propria professione in mezzo ad uomini o alla loro immediata dipendenza! È raro il caso che trovino in essi dei protettori, e se volessi citare degli esempi, dovrei dirne delle brutte; ma mi contento di ricordare il poco rispetto che si ha, generalmente parlando, della giovine maestra, che si è avventurata sola ad andar a insegnare in un comune dove non ha nè parenti nè amiche. Di quale fortezza d’animo ella non deve armarsi per tutelare la sua dignità, il suo decoro, la sua onestà? E spesso non trova protezione, ma insidie, anche nei suoi superiori locali, che dovrebbero essere i suoi naturali difensori, vigili custodi del suo onore!

Se tutti gli uomini ricordassero bene la missione di madre e di educatrice che la donna deve compiere nella famiglia e nella società, la circonderebbero di maggior rispetto e non la obbligherebbero, come spesso avviene, a lavori che sciupano la salute e le fanno perdere la dignità. Non è difficile, viaggiando nella provincia romana, incontrarsi con contadine, giovani, adulte e anche vecchie, che portano in testa un fascio enorme di legna o di fieno o di biade mietute, che gli uomini delle loro famiglie non portano giammai. Oh! che le donne debbono considerarsi come bestie da soma?

Pensate al triste spettacolo che sono costrette a dar di sè, in pubblico, le donne dei giocolieri e dei saltimbanchi; pensate a ciò che si obbliga a fare alle piccole canzonettiste, che si producono (adopero la pa-