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piedi a fianco della ruotaja, ravvolti nel loro mantello di lana e coperti di un caschetto metallico, indicavano con una mano sul cuore e l’altra distesa che la via era scevra d’ogni ostacolo. Quelle figure immobili, illuminate dal fuoco, parevano tante statue di bronzo che ne augurassero la mala ventura: se io fossi stato un amatore del fantastico alla Hoffmann, ne avrei fatto fuora tante creature malefiche da figurare in un romanzo da paure; ma colla immaginazione e coll’anima rallegrata dalla serenità italiana, non potei in essi veder altro che poveri diavoli che per pochi centesimi al giorno vendevano la loro vita per risparmiare la mia e quella de’ miei compagni. Se io mi fossi trovato su qualche strada d’Italia avrei forse loro gettato il soldo, come si fa co’ paltoni che cercano la carità: ma nel paese della civilisation mi accontentai in vece di numerarli ad uno ad uno per sapere a quanto ammontasse quella legione, e n’ebbi quel numero che già vi ho detto.

Restituitomi sano e salvo a Parigi, ringraziai il cielo di essere sfuggito da ogni pericolo, forse più ricordandomi che poco tempo prima aveva arrischiata davvero la vita correndo a quattro cavalli sulle così dette magnifiche strade postali della Francia.

Ritornato in Italia per raccontare le impressioni di questa mia gita sur una strada di ferro, seppi con piacere che una strada di tal genere si stava già costruendo da Napoli a Castellamare e da Livorno a Firenze, mentre da noi si formano progetti per andare da Milano a Monza, da Milano a Bergamo, da Milano a Sesto, e da Milano a Venezia, sopra strade ferrate; e intanto che l’ansietà pubblica aspetta questi nuovi miracoli del secolo di Napoleone, andai ad apprendere le particolarità tecniche di questa novella invenzione da un buon galantuomo che nei Pubblici Giardini di Milano le va quotidianamente spiegando per una lira a chiunque le vuol conoscere senza viaggiare.

Giuseppe Sacchi