che festività, ma per infermità di alcuno; si faceva una nuova capanna di legno, e dentro di essa poneano L’infermo nel suolo, su d’una stuoja, insieme colla vittima. In vece d’altare s’imbandivano più mense, con varie carni; e poscia usciva la Catalona ballando (ch’era la medesima giovane) al suono d’istrumenti; e ferito l’animale, ungevano col sangue l’infermo, e alcuni de’ circostanti. Pelato l’animale, tornavano tutti avanti l’infermo; e la Catalona, mormorando alcune parole fra’ denti, gli apriva, tirava, e mirava tutti i membri; torcendosi in varie guise, e buttando spuma per la bocca. Allora, per un pezzo, stava fuori di se; e in fine racquistati i sensi (come si narra delle Sibille) profetizava della vita, o della morte. Segno di vita era, se si ponea a mangiare, e bere; altrimente di morte: però per non ispaventare l’infermo, solea dire, che gli aniti, o gli antepassati l’aveano eletto per loro compagno. Si raccomandava poscia l’infermo alla medesima, acciò persuadesse i parenti, a porre eziandio lui nel novero degli Aniti; e in fine terminavasi il sacrificio con mangiare, e bere. Erano però obbligati i convitati di lasciare un’offerta di oro, di cottone, uccelli, o