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disegno non è perfetto e le parti non tutte proporzionate, massime nel S. Lorenzo, la naturalezza delle attitudini, lontana da ogni convenzione ereditaria di scuola e d’imitazione, il semplice e bene inteso panneggiamento, il fare largo, non ricercato e direi quasi disinvolto, il modo di colorire, la nobiltà distinta e serena dei volti, palesano che la mano che operava, libera da ogni impaccio di vecchia scuola, tendeva a a manifestare senza preoccupazioni fastidiose ed inceppatrici e senza minuziose ricercatezze, la rappresentazione del vero. Insieme con una certa franchezza decisa vi trasparisce una certa inesperienza di tecnica, ma vi è evidente altresì quel segreto che rende grande l’arte, e che solo i grandi maestri ebbero la facoltà di possedere e la potenza di trasfondere anche nei lavori della loro giovanezza.

I medesimi pregi e i medesimi difetti, la stessa noncuranza alquanto ingenua ma piena in pari tempo di originalità, si riscontrano nelle due tavole rettangolari rappresentanti ciascuna dieci angeli disposti in simetria. Alcuni, nella parte superiore, stanno in adorazione o cantano, gli altri suonano strumenti varii a corda ed a fiato, la mandòla, il violino, il tamburello, il cembalo, la tromba, il sistro e perfino la zampogna. Questi angeli con piccole ali ripiegate dietro alle spalle, hanno vesti lunghe riprese alla vita ed ornate nello scollo; grandi aureole rotonde messe finamente ad oro, contornano le teste. Gli occhi dello spettatore non sono attratti da grazia di mosse o da gentilezza di lineamenti,