Pagina:Giovanni Magherini-Graziani - Novelle valdarnesi.djvu/41

20 Il Diavolo


a briscola e si fece tardi. Battono le undici: costì: — buona notte, buona notte, — prendo il mio lume, prendo la chiave della stanza della Mora, apro, entro dentro, richiudo il mio uscio, mi segno, dico le mie devozioni ed entro a letto, dove era di già Tobia, il mio cugino, che russava come un istrice. Stanco com’ero, spento il lume e addormentato fu tutt’una. Nell’addomentarmi mi parve di sentire un non so che, un rumore come d'uno che grattasse nel muro; ma, così fra il sonno com'ero, non me ne feci caso credendo che fossero topi. Ad un tratto mi sentii chiamare per nome, ma adagio, sotto voce:

— Maso!

— Che vuoi? — domandai. Ma Tobia non era stato certo perchè se la russava pacificamente: stetti sveglio un momento, e poi ripresi sonno. Dopo poco mi risveglio e sento macinare giù nel frantoio: allora dissi fra me:

— Son bell’e arrivati: si vede, era vero che mi avevan chiamato, e che non mi sono raccapezzato, come tante volte succede ad esser nel primo sonno. Che è che non è ad un tratto mi sento tirar via i panni di fondo al letto.

— O finiscila, Tobia, — dissi, — o non è un bel gusto questo? Eh! Sì che gli è caldo! E mi misi in orecchi per sentire, se camminavano in camera, in fondo al letto, ma non sentii