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Fioraccio | 161 |
nella stanza accanto dir l’ufizio e fare orazione. Quando fu verso la mezzanotte, uno de’ frali si affacciò all’uscio, e disse:
— È l’ora; andiamo.
Il priore fece il viso bianco, ma dovè fare di necessità virtù, e venire anche lui. Prendemmo una lanterna, ed uscimmo di casa dalla porticina dall’orto. Eravamo cinque: il priore, i cappuccini, Cecco, ed io: tutti zitti zitti; con quel buio si pareva tanti congiurati. Io ero avanti coi cappuccini, il prete e Cecco dietro. Arrivati al cancello mi provai ad accender la lanterna, ma non mi riusciva, un po’ per il vento, un po’ perchè i fiammiferi, che avevo presi in casa, avevano tirato l’umido: li avevo finiti quasi tutti: finalmente uno prese, misi la lanterna sotto il pastrano e l’accesi. Il priore fu l’ultimo ad entrare nel camposanto....
— Non lo dicevo io? — disse Cecco. — È bell’e ritornato fuori!
Io ero avanti. Il lume battè proprio sulla faccia di Fioraccio. Ma già che dico faccia?.. Pareva un pezzo di carbone: tutto nero, colla bocca aperta, e nel nero della bocca si vedeva spuntare quei due dentacci gialli; gli occhi erano come due buchi fondi colla luce gialla; pareva che risplendessero. Rimasi male, e mi fermai lì su due piedi.