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Fioraccio 157


C’era una panchetta ci mettemmo a sedere. Io accesi la pipa.

— Che ti metti a fare? — mi disse Cecco, — se vedono il fuoco se ne accorgono subito che siamo qui.

— Già, e tu credi che io voglia star qui tutta la notte senza neppur fumare? mi addormento.

Si fece qualche altra parola, e poi ci chetammo; non avevamo voglia di discorrere nè lui nè io. Non si sentiva altro rumore che quello dei pipistrelli, che entravano ed uscivano dalla porta; si udiva solamente qualche cane abbaiare da lontano e friggere la pipa. Tirava vento acquaio e si sentiva veramente bene l’orologio di ***. Batterono le undici e poco dopo mi parve che ci fosse qualcuno a camminare nella strada.

— C’è gente! — dissi io.

— Ho sentito, — rispose Cecco.

— Zitto! s’avvicina! eccolo.

Ma quello quando fu vicino al cancello si mise a fischiare, proprio come quando uno ha paura.

— È Faustino — disse Cecco — lo riconosco.

Infatti quello passò e seguitò, si sentì allontanare e poi più nulla. Dopo una mezz’ora una civetta mi passò proprio d’accosto al viso e mi fece riscuotere; ma ebbe paura di noi,