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formare di getto le statue maggiori di bronzo, e nello stesso architettare d’invenzione. Faceva eziandio i modelli di statue al naturale in bozze di terra, secondo i disegni dettati dal suo maestro, o secondo i proprii, ma dallo stesso ritocchi; sicchè già tanto accostavasi alla maniera di lui, che le cose sue della prima età vengono talvolta scambiate e credute opera del Sansovino; il quale non n’avea altro merito, fuor solamente di averle condotte alla perfezione.

Malgrado ai mirabili progressi fatti per parecchi anni di tirocinio dal giovane Vittoria, il maestro lo trattava con quel medesimo rigore di disciplina che gli altri scolari di minor levatura, nè gli cedeva qualche parte delle imprese, nè gli accordava guiderdone maggiore che agli altri apprendisti e lavoratori. Questo modo di trattare i discepoli era passato in costume nel Sansovino, calcolatore talvolta un po’ troppo sottile del tornaconto. Tenuto eccellentissimo artefice, già quasi dalla sua gioventù, e singolarmente dacchè avea posto piede in Venezia fino a quella età sessagenaria in che allora si trovava, egli era per si lungo e continuo spazio di tempo abituato a vedersi allogare, o almeno passare per le sue mani, quanti v’avea lavori sì in architettura che in iscoltura. E ve ne avea molti in quella Venezia, ancor donna del mare ed arbitra di tutto il Levante. Di questo geloso rigore, omai passato in seconda natura, può nondimeno trovarsi alcuna scusa nell’amor proprio che, non gli permettendo di scemare negli anni della vecchiezza con opere d’altro stile e di vario merito la bella riputazione guadagnatasi negli