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caldo e sincero di quelli con cui io li ringraziai ed essi mi augurarono buona fortuna. Viva l’Italia, e sempre avanti! È incredibile la rapidità con cui si diventa amici fraterni in guerra. Con quanti volti aperti, franchi, giovanili e intelligenti ho scambiato un allegro sorriso cordiale in questi giorni! Ci si corre incontro colle mani tese, come vecchi amici che non si vedevano da vent’anni, ci si scambiano i nomi, e siamo subito come fratelli. Poche domande s’incrociano: — Di dove sei? Che reggimento? Dove sei diretto? Come va? — Poi qualche rapido ragguaglio su quel che si è visto e che si è fatto, con rilievi e considerazioni da vecchi strateghi, come tanti napoleoncini, con ampi gesti pieni di gravità, da far sudar freddo tutto lo stato maggiore Austriaco, se li vedesse. — Vedi quel monte? È già tutto nostro. Quello di fronte è ancora austriaco, per ora, ma vedrai che da questa parte si sta preparando una grande avanzata. Ora stanno salendo qua parecchie batterie. — Poi si segnano a dito i paesi lontani, le grandi cime azzurre. Finalmente vengono i saluti. — Dunque addio, caro. Tante buone cose.