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buona dai teneri garzonetti a cui spuntano le caluggini. Ma se i tentativi di accordo sono inutili per ricoverare il perduto, essi tornano non pur giovevoli ma necessari per abilitarsi a riacquistarlo colle armi, per reintegrare la milizia e ripigliare la guerra. Quindi in prima io parlai sempre della necessitá di una tregua onorevole, discorsi a lungo col conte di Revel del modo di conseguirla, e ne scrissi al principe (autorizzato a farlo da un suo cenno) il giorno dopo la mia tornata da Vigevano, quando giá era soscritto ma non ancor noto in Torino l’ infelice armistizio rogato a Milano. E per ottenere la sospensione delle armi, proposi fra le altre cose che s’ intavolassero colloqui di pace, usando a tale effetto i buoni uffici della Francia e dell’ Inghilterra. Giá assai prima di esporre i miei pensieri su questo articolo al conte di Revel, ne avea fatto parola col signor Abercromby, inviato della Gran Bretagna, in presenza del marchese Pareto, accennandogli che una revisione dei capitoli di Vienna, da farsi con buon accordo fra i potentati, era il mezzo piú acconcio a comporre tutti gl’interessi e ad assicurare la pace di Europa. Questo sarebbe forse anche adesso il miglior modo per uscir dalle forbici di una mediazione pericolosa; ma non ne fo menzione se non per mostrare quanto s’ inganni il professore Merlo nell’asserire che io «non ammisi trattative di sorta» nei ragionamenti passati coi nuovi ministri.

Parlo dei nuovi ministri in universale, perché molte delle cose da me dette al conte di Revel e al cavaliere Pinelli non furono da me ripetute al professore Merlo, col quale piú brevi furono i colloqui; onde appunto avvertii nel mio opuscolo che anch’egli si era meco espresso «piú concisamente» de’ suoi colleglli. Ma la brevitá non fu tale che lasciasse il menomo dubbio sulla dissonanza essenziale dei nostri rispettivi programmi, secondo i termini sovradescritti; il che è tanto vero che, prevalendomi della libertá conceduta da un’antica amicizia, lo pregai a non far parte di un ministero mal rispondente al bisogno dei tempi, e mi duole all’animo (lo dirò francamente) che le mie preghiere non siano state esaudite dal mio illustre amico.

La taccia di «errori involontari» e di «asserzioni erronee» non milita adunque contro il mio opuscolo, ma bensí contro la dichiarazione con cui il professore Merlo assunse di confutarlo. E benché possa parer singolare che la sua memoria lo abbia ingannato intorno a tali fatti che non appartengono alla storia antica né ad