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IV

DICHIARAZIONE RISPONSIVA A UNO SCRITTO DI FELICE MERLO (Dal Risorgimento, 14 settembre 1848).

S. E. il signor professore Felice Merlo, ministro di grazia e giustizia, pubblicò ieri nel Risorgimento e in altri giornali una dichiarazione in cui taccia di «asserzione erronea» ciò che mi venne detto sul suo conto nell’opuscolo intitolato I due programmi del ministero Sostegno’, aggiungendo che io sono atto a «capacitarmene pienamente tosto, come, riflettendovi sopra, avrò riconosciuta la veritá». Invitato da queste parole, io riandai colla memoria le cose asserite; e non che «capacitarmi» di esser caduto in errore, mi sono vie piú convinto e certificato di avere esposta la «veritá» esattamente, eziandio per quanto riguarda il prelodato ministro. E mi credo in obbligo di farne pubblica fede, quantunque la cosa sia in se stessa di picciolissimo rilievo; affinché, posta in dubbio una parte, non si debiliti tutto il resto del mio discorso, e i buoni cittadini non rimettano della vigilanza opportuna rispetto a un ministero, che dee piú che mai eccitarla per la natura de’ suoi principi e il tenor successivo del suo reggimento.

Innanzi tratto giova avvertire che il pregiudizio di smemorataggine milita assai meno contro di me che contro l’illustre opponitore. Il mio scrittarello infatti ha la data dei trenta del passato, e la dichiarazione del professore Merlo porta quella degli undici del corrente: dal che s’inferisce che io posi subito mano a redarguire l’accusa fattami (avendo impiegati quattro giorni a stendere la risposta), laddove il ministro indugiò quasi una settimana prima di ribattere la mia. Or chi non sa che quanto i fatti sono piú recenti, tanto la memoria di essi è piú fresca e piú viva? Chi non vede che, se il professore Merlo ebbe mestieri di parecchi giorni per raccapezzare la ricordanza del succeduto e stendere una protesta di poche righe, questa sola circostanza detrae molto all’autoritá delle sue parole? Se egli aveva a dolersi di me ed era ben chiaro e certo del fatto suo, perché non diede subito fuori il suo richiamo? Non è questo lo stile dei valentuomini suoi pari, ai quali pesa il menomo ritardo quando si tratta di mantenere intatto l’onore? Ché se i colleghi dell’egregio ministro volessero