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del senno di coloro che, quasi una rivoluzione politica fosse poca cosa (massime nei termini a cui l’Italia è ridotta), vogliono aggiungerle una rivoluzion religiosa, cento volte piú difficile a compiere? La quale avrebbe per solo effetto il nuocere all’altra e tòrle ogni speranza di buona riuscita. Ma se i novatori di questo genere sono degni di grave biasimo, non però i governi italiani e i prelati hanno diritto di lagnarsi degli umori increduli e protestanti che covano e serpeggiano; poiché essi ne furono la causa motrice col dividere la religione dalla nazione, e ne sono oggi la causa cooperatrice coll’ aggiungere all’oppressione civile quella delle coscienze. Sia lode al Piemonte che non imita i brutti esempi di Toscana, di Napoli e degli Stati ecclesiastici; e rispettando le opinioni, permette che gl’israeliti, i valdesi e le altre comunioni cristiane innalzino templi ed altari per adorare in pace il Dio de’ padri loro. Ma che maraviglia se gl’inglesi s’ingegnano di far proseliti segretamente in Roma, quando Roma semina apertamente la discordia nell’Inghilterra? Gli apostoli portavano la fede per ogni dove e, se occorreva, la suggellavano col sangue proprio; ma per quistioni di semplice disciplina non violavano le leggi dei vari paesi. Che maraviglia se i protestanti rinnovano le dispute del secolo sedecimo, poiché i gesuiti ne danno loro l’esempio? Le sfide teologiche sono un vecchiume che faceva piú male che bene anco ai secoli che ci erano avvezzi ; onde sarebbero da lodare il cardinale Wiseman e il padre Ravignan del rifiuto di accettarle, se, concitando in casa d’altri turbolenze e risse sanguinose, non fossero eglino i primi provocatori 0). E chi provoca non ha buon viso a ritrarsi, lasciando luogo a dubitare se il faccia per cristiana e civile prudenza o per difetto di dottrina e d’animo e per poca fiducia nella sua causa.

Se il cattolicismo scade ogni giorno perché molti lo reputano inaccordabile coi progressi civili, il rimedio non si vuol cercare di fuori ma ne’ suoi medesimi ordini, ritirandoli alla perfezione della loro origine. Il che non è impossibile a fare,

(t) Vedi V Opinione dei 28 di giugno 1851.