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moltitudine di uffici secondari e svariati a cui gli altri sono poco adatti e si piegano malvolentieri; attendono ai particolari, agli accessorii, alle minuzie; e sono quasi i manovali, gli operai e i fattorini della civiltá, in cui gl’intelletti privilegiati fanno le parti d’ingegneri, di capomastri e di artefici.

La mediocritá è dunque utile, benemerita e degna di stima, purché non esca del suo giro; altrimenti è dannosa e funesta. Quando ella vuol esser capo e non braccio e assumere l’indirizzo delle cose, i progressi vengono meno, e in vece di essere conservatrice diventa retrograda. E come il progresso è il corso della potenza verso l’atto, cosi il regresso è il ricorso dell’atto verso la potenza; il qual regresso è innaturale e, se giunge al suo termine, produce la morte, che è il ritorno della vita alla virtualitá pura. E perciò i vecchi decrepiti prima di spegnersi rimbambiscono e per mezzo di una seconda infanzia passano a essere di cadavere; il quale è un feto che retroguarda, come il feto prima dell’animazione è un cadavere che s’infutura. Imperocché il principio e il fine si convertono per un assiduo circuito, e il loro divario versa soltanto nella relazione e nell’indirizzo. Similmente i legnaggi, gl’instituti, le sètte si estinguono, quando gl’ingegni si appiccolano o imbarbogiscono, e i pochi grandi che rimangono sono affogati dal volgo. E se è lecito il paragonare le cose divine alle umane, chi non vede che la declinazione presente della Chiesa cattolica proviene in gran parte dall’esservi i primi gradi del governo e del magistero assegnati a uomini nulli o mediocri? Ché se tuttavia la religione non può perire, agl’instituti di minor conto non soccorre cotal privilegio. Gli Stati si sciolgono quando cedono e restano gran tempo alle mani dei volgari; e le scuole, benché fondate da uomini sommi e depositarie di dottrine feconde, insteriliscono e appassiscono. Per la qual cosa io porto opinione che le scuole e le sètte sieno piú nocive che profittevoli; imperocché i discepoli, non pareggiando il maestro, tirano la sua dottrina (per tornare al linguaggio peripatetico) dall’atto alla potenza. Cosi Euclide e Speusippo fecero rinvenire i dettati di Socrate e di Platone verso i principi ionici ed eleatici, e nulla piú