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DEL RINNOVAMENTO CIVILE D’iTALIA

di tutte le riforme, queste non possono aver luogo se il pensiero stesso non è riformato e ridotto a’ suoi veri ordini. Né altro è l’ordine del pensiero che il principato dell’ingegno, dal cui mancamento nacquero quasi tutti i disordini dell’etá nostra, e in particolare questa vicenda incessante di progressi e di regressi che ci travaglia da un mezzo secolo; giacché le rivoluzioni non governate dal pensiero trapassano la giusta misura e quindi cagionano le riscosse, le quali come cieche e guidate a caso trasmodano aneli ’esse e partoriscono nuove rivoluzioni. Né questo travaglioso ondeggiamento avrá fine sinché l’indirizzo delle cose è lasciato al volgo e la mediocritá è principe.

Quando un vero o un fatto rilevante è trascurato, il miglior modo di richiamarvi l’attenzione degli uomini si è quello di notarlo e descriverlo, facendo toccar con mano la sua realtá, specificandone la natura, mostrandone l’importanza e le relazioni con altri veri e fatti piú cónti, familiari e men ripugnatali. Cosi fecero quei giuristi e filosofi dell’etá scorsa o della nostra, che misero in luce i due fatti sociali delle nazioni e delle plebi e ne chiarirono i diritti, negletti, scordati, manomessi per tanti secoli. Ora i diritti dell’ ingegno, non meno impugnati e disconosciuti, hanno d’uopo della stessa opera. Ma certo niuno li negherebbe, se si facesse un giusto concetto della potenza spirituale a cui appartengono; giacché il giure risultando dall’essenza delle cose, tanto è il conoscere un essere e la sua natura quanto l’avvertirne i diritti ed i privilegi. Io mi studierò adunque di fare una breve analisi di quella facoltá mentale e di quel fenomeno psicologico che «ingegno» si chiama, e di mostrare il luogo che occupa nel magistero del creato e negli ordini della providenza. Né alcuno potrá biasimarmi perché io discorra di una qualitá onde son difettivo, giacché quello che io non ho e non posso studiare in me stesso, posso bene raffigurarlo in altri. Anche il povero può scrivere sulle ricchezze e il suddito sul principato, come ottimi critici e retori filosofarono egregiamente sulla poesia e sull’eloquenza senza esser buoni a scrivere dieci versi o l’esordio di un’orazione. Che piú? Ai maestri in divinitá non viene interdetto di speculare sull’autore dell’universo