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per ciò che riguarda lo stile e le facoltá delle lingue; giacché, trattandosi di ragione e di bellezza, ogni parte in certo modo è nel tutto e il tutto in ogni parte, atteso le relazioni che legano insieme tutto il naturale umano e tutto lo scibile.

— Ma ciò è penoso e difficile — dirá taluno, — specialmente a noi moderni che siamo piú svogliati e meno pazienti (nel leggere) degli antichi. — Noi nego. Anzi aggiungo che la lettura, come mille altre cose, non è utile se è troppo alla mano, essendo una legge universale del mondo, che ogni pregio, ogni acquisto, ogni gioconditá durevole sia opera di travaglio. Legger bene e studiare è fatica, perché è una spezie di pugna, dovendo tu spesso combattere col testo, colla lingua, coi pensieri altrui per addentrarti in essi ed appropriarteli; ma questa fatica è sommamente fruttifera, perché dall’arrotamento e dal cozzo del tuo spirito colle parole e i concetti di un ottimo autore viene aiutata ed avvalorata la virtú creativa e ideale, la quale somiglia all’estro guerriero degli antichi romani, che «agitati dalle arme sempre si accendevano» b). L’orare, dicono gli spirituali, non fa prò senza il meditare. Il simile interviene alla lezione, la quale non vuol essere passiva solamente ma attiva, né consistere nell’ inghiottire ad un tratto ma nel rimasticare e rugumare il cibo. Perciò lo studio somiglia alla virtú morale, che è opera di uno sforzo; onde anch’esso è virtú e consiste in un’assidua tensione dell’animo e dello spirito. Le forze della mente, come i muscoli del corpo, vigoriscono per l’esercizio; ed Ercole, in cui la filosofia stoica idoleggiava la maschiezza morale e civile, è non solo il modello del virtuoso ma eziandio del savio e dello scienziato. Gli scrittori antichi fanno piú a proposito dei moderni per questa arena dello spirito, sia per la perfezione del pensiero e della forma e l’armonia dell’uno coll’altra, sia perché bisogna sudare e affaticarsi a bene intenderli, atteso la diversitá dei costumi, delle opinioni, degl’ instituti loro dai nostri, e la vetustá, l’ampiezza e la costruttura magistrale delle loro

(i) Machiavelli, Discorsi, in, 36.