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gran fatto a comporne; ma i fogli spiccioli, che non abbisognano di erudizione e a cui bastano pochi luoghi comuni con una ricca suppellettile d’invettive, sono la loro delizia. Perciò dovrebbero reputarsi beati di vivere in questo secolo, e in vece di maledire la demagogia, come fanno, esserle riconoscenti. La civiltá non riceve alcun danno dagli scritti di costoro, anzi se ne vantaggia, imperocché la loro ignoranza è cosi squisita e le dottrine assurde, che il metterle in mostra basta a farle odiare; onde insegnano a noi come gli ebbri ai lacedemoni. Ma per contro la religione ne riceve non piccolo pregiudizio, imperocché quella che costoro predicano, piena di superbia, di odio, d’intolleranza e affatto priva di spiriti evangelici, è un pretto farisaismo. Il quale in addietro produsse le carceri, i roghi, le guerre sacre; e oggi, che la coltura gli vieta di prorompere (non però da per tutto) in fatti atroci, si sfoga colle minori persecuzioni, cercando di rapire colla parola e cogli scritti la fortuna e la fama a cui non può togliere la libertá e la vita. I fogli di questi fanatici sono un fascio di ogni bruttura, mentono a ogni tratto, calunniano in prova, impugnano la veritá conosciuta, maledicono e condannano indefessamente i buoni, esaltano i perversi e difendono le loro opere; tanto che sotto nome di giornali sono libelli periodici. Ma siccome pretendono alla loro reitá i nomi piú reverendi e ostentano zelo cattolico, il male che ne torna alla fede è gravissimo, misurandola il volgo dall’immagine che costoro ne rendono. Tanto piú che parlano in nome della Chiesa e in tuono di oracoli: sentenziano ex-cathedra , definiscono, censurano, scomunicano, dánno altrui dell’ «eretico» e del «rinnegato», come fossero i banditori di un concilio ecumenico (*). Siccome molti di costoro son laici, cosi essi tendono a trasferire, secondo l’uso dei protestanti, la signoria delle cose sacre nel ceto secolaresco. E in coloro che sono neofiti, cioè riconciliati di fresco, pare che il fiele divoto trabocchi piú

(i) Vedi la pastorale e la nota di Domenico Sibour, arcivescovo di Parigi, contro L’univers, pubblicate ai 24 di agosto 1850 e tradotte da Antonmaria Robiola (Torino, 1850). .