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capitolo decimoterzo 91


come se dicesse che le palle con cui li tempestava erano bolle e scomuniche. Quando un uomo è investito di due uffici diversi, la natura delle sue azioni può sola determinare a quale di quelli ciascuna di esse si riferisca; e però convien dire che Giulio come pontefice uffiziasse in Roma, e come sovrano temporale intervenisse all’assedio della Mirandola. Se poi altri dicesse l’unione di carichi si disparati aver molti e gravi inconvenienti, io non vorrei contraddirgli, ma conchiuderei non mica che il papa debba pregiudicare al principe, si bene che il papa non dee esser principe. Se non che quand’anco il papa non fosse principe, egli dovrebbe pure proteggere la nazionalitá italica coll’autoritá del grado e l’efficacia della parola. E perché? Perché la nazionalitá è un diritto e un dovere, e il sommo sacerdote dee esser banditore e tutore di ogni diritto e di ogni dovere. Perché il violare la nazionalitá altrui è ingiustizia, e il vicario di Cristo dee condannare le ingiustizie di ogni genere. Perché la nazionalitá italiana fu educata, nudrita, accresciuta dai papi; cosicché questi sono obbligati a difenderla, se non altro, come opera loro. Leggasi Giuseppe di Maistre, autore non sospetto quando si scorda le sue dottrine illiberali, e vedrassi come i papi piú virtuosi e santi concorressero a risuscitare l’Italia come nazione1; pogniamo che altri pontefici ambiziosi e tristi distruggessero la loro opera. Anzi la storia ne insegna che i buoni e savi pontefici ebbero anche parte nella procreazione e nel tirocinio delle altre nazioni europee, plasmando le minori sorelle colle stesse mani che educavano la primogenita. Il qual fatto palesa come poco s’intenda di nazionalitá chi la crede aliena dal genio cosmopolitico del cristianesimo e degli ordini cattolici. Anzi io noto che il concetto adequato, compito, maturo dell’essere nazionale dei popoli mancò agli antichi, che solo rozzamente lo possedevano; e però, come proprio dei secoli moderni, è un portato e un progresso della civiltá cristiana.

E in vero il primo e supremo precetto dell’evangelio è l’amor di Dio e del prossimo, il qual prossimo abbraccia la nazione



  1. Du pape, passim.