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la sua perfezione senza il pieno stabilimento della nazionalitá italica. Finché l’Italia non ha a compitezza il suo essere nazionale, la rivoluzione italiana ed europea può essere sospesa ma non finita; il mondo civile può aver tregua, non pace definitiva. D’altra parte è poco probabile che la costituzione adequata della nostra nazionalitá sia per effettuarsi altrimenti che per una di quelle commozioni universali ed invitte, le quali sciogliono i popoli dalla tutela dei potenti e gli rendono arbitri dei propri destini.

Verificandosi questo caso, il Piemonte ha un solo modo di azione egemonica e di riuscita, cioè quello di bandire l’unione nazionale d’Italia e spianare la via colle armi al suo stabilimento. Il grido dell’unitá italica avvalorato da un forte esercito atto a porla in essere e a presidiarla, e un appello magnanimo fatto ai popoli e ai comuni, darebbe al re sardo una potenza maggiore di quella che sorti Carlo Alberto nei giorni piú lieti del quarantotto. «Quali porte se gli serrerebbero? quali popoli gli negherebbero l’ubbidienza? quale invidia se gli opporrebbe? quale italiano gli negherebbe l’ossequio?» (0. Tanto piú se la condotta dell’opera crescesse forza alla meraviglia. Imperocché non si dovrebbero giá prendere le mosse con lentezza legale e a modo degli avvocati, cioè aprendo registri, convocando assemblee costituenti, deliberando alla parlamentare e ricercando se piaccia a tutti gl’italiani di essere uniti e liberi, se vogliano unitá federativa o statuale, libertá regia o repubblicana, e se il carico di cominciare l’impresa si debba commettere al Piemonte o ad altra provincia. Tal fu in parte lo stile che si tenne nel Risorgimento, e ciascun sa con che frutto. Ché se ai novizi l’errore fu perdonabile, dopo tanta e si luttuosa esperienza sarebbe indegno di scusa. Ogni egemonia nazionale importa, almen nei principi, la dittatura; imperocché, dovendosi usare celeritá somma, unitá, vigore di esecuzione, e potendo la menoma lentezza e perdita di tempo tornare esiziale, si debbono evitare le vie deliberative, tanto piú inopportune quanto che gli spiriti municipali e faziosi

(i) Machiavelli, Princ ., 26.