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sue pendici, come alcuni propongono per uno di quei partiti mezzani che riuniscono gl’incomodi degli estremi. Conciossiaché, se tu gli dai un potere assoluto, condanni la prima cittá d’Italia e del mondo a un servaggio privilegiato e intollerabile. Se temperi la sua giurisdizione e fai del comune romano quasi una repubblica capitanata dal pontefice, ritorni al medio evo, incorri negl’inconvenienti dello statuto, ponendo il guinzaglio a una potenza che non ci è avvezza e non vuol saperne, e gli aggravi per giunta con quelli che nascerebbero dalla natura del nuovo governo, aprendo la via ad urti e contrasti inevitabili ; giacché le repubblichette sogliono avere il genio meschino, inquieto, schizzinoso, inframmettente dei municipi. Nei due casi poi rompi l’unitá, l’omogeneitá, l’armonia d’Italia e le togli di essere forte e potente, accampandole in cuore un’altra repubblica di Sammarino. Il papa dunque non dee avere sovranitá di Stato né di territorio. Vuol bensi essere inviolabile e affatto indipendente la sua persona: inviolabili i suoi palagi, le ville, le chiese, come quelle degli ambasciatori. Alla sicurezza e dignitá della sua corte e famiglia è facile il provvedere mediante una legge accordata tra lui e lo Stato, la quale concili i riguardi dovuti al pontefice col buon ordine e la giustizia. Al mantenimento e alle spese del governo ecclesiastico può supplire una dotazione comune d’Italia o, meglio ancora e piú decorosamente, dei popoli cattolici; e sará il papa di tanto piú ricco quanto che, in vece di un erario esausto e indebitato, il ritorno di Roma sacra alla perfezione antica e l’uso sapiente che fará dei beni materiali le procaccerá coll’ammirazione e l’ossequio le munifiche larghezze di tutto il mondo cattolico. Cosi, protetta dalla nazione italiana, provvisionata dalla cristianitá europea e netta dei vizi che trae seco il temporale dominio, la tiara ripiglierá un lustro e un’autoritá morale di cui possiamo a mala pena farci un concetto proporzionato. Non occorre soggiungere che tale aggiustamento presuppone l’assesto definitivo d’Italia, e non si avviene alle condizioni passeggiere e precarie che potranno precederlo, durante le quali l’assenza del papa sará forse opportuna e per la pubblica quiete e per la stessa dignitá della Sede