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Ora il dilemma è risoluto; e quello che io scriveva privatamente nel dicembre del quarantasette era il risunto succinto di ciò che pubblico nel cinquantuno. Ché se il filo delle comuni speranze fosse stato tronco sin da quei tempi, le veritá, che mando oggi alla luce e che giá allora agitavo nell’animo, l’avrebbero veduta alcuni anni prima; né mi sarei pentito, come adesso non mi pento, di aver proceduto per gradi nell’esporle e premesso tali consigli che le giustificavano.

Né vane furono e sterili affatto le deboli mie fatiche. Falli in vero lo scopo principale; ma di chi è la colpa? chi predicò la repubblica in Lombardia, l’introdusse in Roma, mise sossopra la Toscana, uccise il Rossi, assediò Montecavallo, indusse Pio e Leopoldo a fuggire dal loro seggio e ad invocare il soccorso delle armi esterne? chi disdisse quattro volte la lega italiana al papa e ai principi che la sollecitavano, accolse la mediazione, ributtò tre fiate gli aiuti francesi e lasciò tre altre in preda ai demagoghi e ai retrogradi l’Italia del centro? Non che partecipare a tali errori io li combattei a mio potere, e cercai d’ impedirli, di medicarli colle parole e colle opere. Ora oggi è noto

quale l’Italia si riuni e si strinse nel patto d’emancipazione» (L’uguaglianza, Torino, 7 luglio 1851). L’autore di queste parole dee appartenere al novero di quei dialettici che vogliono la conclusione senza le premesse onde nasce. Forse l’Italia avrebbe potuto «ricongiungersi al grido di — Viva Pio nono !» — se Pio nono non entrava nella via delle riforme? e Pio nono ci sarebbe entrato senza «i falsi sapienti che spacciarono intorno la dottrina dell’ Italia papale e governativa»? Dunque i falsi sapienti si mostrarono piú savi di voi, signori democratici, poiché seppero produrre un effetto che non avreste sortito senza di loro. E furono eziandio piú accorti, poiché, mentre i fragorosi evviva vi rompevano le vene del petto, essi nel loro ritiro dubitavano che la festa fosse per durare. E non che voler fare un’Italia papale, si preparavano sin d’allora a redimere l’Italia senza l’aiuto del papa, come i tempi lo permettessero, e a conciliare il rispetto dovuto alla religione coll’indipendenza civile del sacerdozio. Permettetemi adunque che vi preghi da amico a pensare alquanto, prima di parlare e di scrivere. Non vogliate che gli autori dicano sempre tutto, anche a costo di rovinare lo scopo che si propongono. Sappiate intenderli discretamente, perché anche i piú leali (e io mi pregio di appartenere a questo novero) debbono pel pubblico bene tacere e dissimular molte cose. Internatevi nel loro pensiero, misurandolo dalle circostanze e usando la critica del secolo decimonono, non quella che stava bene nei tempi dei trogloditi. Fate insomma in Italia ciò che si usa in Francia e in tutto il mondo civile; altrimenti sará impossibile lo scrivere con frutto, e diverremo pei nostri giudizi la favola degli oltramontani.