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prime censure; e il mio assunto fu tassato per impossibile e chimerico, la fatica per vana ed inutile. Tanta equitá di giudizio e finezza di accorgimento si può perdonare a chi scrive sotto gl’influssi della Compagnia e dell’Orsa. Sia lecito ai padri e ai loro creati il confondere l’autoritá morale colla dominazione brutale, e spacciare per indegno della fede cattolica che la maestá del pontefice sia sublimata dai meriti e dalla gloria del principe; il credere che l’ufficio del pontefice non sia azione e dottrina, o che come dottrina non debba abbracciare ogni vero e tutelare ogni diritto. Sia conceduto ai russi e ai loro vassalli il chiamare «utopia» un’impresa, che sarebbe riuscita a meraviglia se la Francia differiva il suo moto repubblicano o almen Pio mostrava fior di sapienza civile; e il non avvertire che se oggi il papa è davvero un «califfo» perché protetto da satelliti esterni, il Risorgimento italiano mirava appunto a liberarlo da tal vergogna e renderlo da ogni lato signore di se medesimo.

Ma io debbo rammaricarmi che alcuni de’ miei compatrioti, in luogo di usare l’accorgimento proprio, abbiano giudicato e giudichino ancora con levitá oltramontana, passando il segno sia nel rallegrarsi dei principi di Pio come dovessero durare eterni, sia nel disconoscere l’utilitá loro a malgrado della poca vita. Proponendo al pontefice un assunto scabroso ma fattibile, io non ne tacqui gli ostacoli e le malagevolezze, né feci malleveria a nessuno della costanza e del senno dell’operatore. Non dissimulai a me stesso né agli amici che, pel costume invecchiato, l’oligarchia prelatizia, gl’influssi austriaci e gesuitici, il cominciamento era arduo e ancor piú difficile la perduranza. Pubblicando il mio concetto sotto papa Gregorio, gli diedi il nome di «sogno» (*); e antivedendo come possibile il caso che il sogno fosse interdetto, distingueva accuratamente i doveri del buon cattolico da quelli del cittadino ( 2 h Allorché poi il successore pose mano alle riforme e tutta Italia applaudiva a quel «miracolo

(0 Primato, pp. 563, 564.

(2) Prolegomeni, pp. 268, 269.