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capitolo decimoquinto 157


cosí i secondi dicono in cuor loro: — Muoia l’Italia piuttosto che la repubblica o il municipio. — Come gli uni pretendono lo zelo delle credenze e del papato allo scopo ambizioso di esser arbitri della Chiesa e governarla a proprio vantaggio, cosí gli altri sotto spezie di caritá patria e di amore al principato o alla repubblica vogliono essere graduati, ministri, triumviri, dittatori e recarsi in pugno l’Italia o almeno qualche sua provincia. Dai due lati non trovi fiore di lealtá, di equitá, di gratitudine, di generositá, di grandezza d’animo; dai due lati regna un’intolleranza eccessiva delle altrui opinioni, suggellata dal fanatismo; dai due lati s’invoca la libertá religiosa e civile per diventar padrone1; dai due lati l’ignoranza degli uomini, delle cose e del secolo è ribadita dall’odio dell’ingegno e del sapere, dall’invidia di ogni maggioranza eziandio naturale e meritata, dall’astio delle nazionalitá e delle patrie coperto da un finto zelo provinciale e cosmopolitico, da un desiderio di rimescolare, confondere, ridurre tutto al proprio piano e ritirar indietro la cultura e la gentilezza; onde il radicalismo eccessivo s’immedesima col dispotismo retrivo, come si può veder nell’Oriente barbarico e in quei piccoli cantoni dell’Elvezia, che sono ad un tempo demagogici, municipali e gesuitici. L’affinitá e la parentela delle sètte liberali ma eccessive e sofistiche colle retrive è propria di tutti i tempi, e per l’Europa odierna si può dire che incominciasse colla prima rivoluzione francese. «Nella quale — scrive Renato Levasseur — gli stessi uomini, che si valevano dell’ateismo per turbare lo Stato, adoperarono poscia il gesuitismo allo stesso effetto»2.

Il vizio radicale del gesuitismo consiste nell’uso di spogliare la morale e la religione della loro finalitá suprema e di convertirle in semplici mezzi; onde la fede si muta in superstizione e collo scopo si legittimano gli spedienti, fino ai piú atroci; tanto che i padri non abborrirono dall’uccisione di un ottimo



  1. «... Falso ‘libertatis’ vocabulumnt obtendi ab iis qui privatim degeneres, in publicum exitiosi, nihil spei nisi per discoardias habent» (Tac., Ann., xi, 17).
  2. Ap. Villiaumé, Histoire de la révolutíon française, t. iii, p. 262, note.