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scadere come quelle vennero a mancare. La gradazione voleva che dalle riforme si facesse passaggio alla monarchia costituzionale, non mica tutto ad un tratto ma per via del principato consultativo, la cui idea presso i moderni nacque in Italia e fu espressa dal Castiglione1. Ma di tal ordine non si potè fare il saggio altro che in Roma, atteso la pervicacia del re di Napoli (se inesperta o dolosa non potrei dire) nel disdir le riforme, la quale, stringendolo a dar lo statuto, obbligò gli altri principi a fare altrettanto. «La costituzione napoletana — dice Giuseppe Massari2 — arrecò grave perturbazione nel movimento, regolarmente ascendente e lentamente ma sapientemente progressivo, dell’italiano rinnovamento». Cosicché il primo deviare di questo dalla diritta norma fu opera di Ferdinando. Di maggior danno fu il mancare dell’italianitá; e questo ebbe non dirò per cagione ma per occasione il moto francese del quarantotto, come quello che fu per natura eterogeneo verso il nostro. Sarebbe stato per contro omogeneo, se non fosse proceduto oltre la riforma elettorale e la rinunzia di Filippo; mutazioni che bastavano a migliorare notabilmente la politica della Francia dentro e di fuori e che avrebbero di rimbalzo giovato all’Italia. Ma trascorrendo dagli ordini di un regno poco civile alla repubblica senza il menomo intervallo, il moto fu troppo accelerato e quindi seguito dalla riscossa; onde in luogo di una monarchia popolare si venne ad avere una repubblica oligarchica. Perciò se il sincronismo del gallico rivolgimento coll’italico fu a rispetto nostro, per cosi dire, un anacronismo, ciò non tanto provenne dalle dispari condizioni dei due paesi quanto dall’essere stata la mutazione precipitosa verso la Francia medesima. La qual precipitazione, che ivi potè bensí impedire i frutti ma non distrugger gli ordini del nuovo governo, fece l’uno e l’altro



  1. Corteg., 4. Si noti che la consulta migliorativa della monarchia (quale io mi studiai di adombrarla ne! Primato) dee essere un maestrato pubblico; altrimenti è di poco profitto e talvolta può far peggio. Tito Livio dice dell’ultimo Tarquinio il Superbo: che «domesticis consiliis rempublicam administravit» ( i , 49).
  2. I casi di Napoli, pp. 23, 24.