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capitolo decimoterzo | 107 |
era imprudentissimo il tórlo; onde il Bernetti, il Lambruschini e altri cardinali, abborrenti dai liberi instituti per genio e per consuetudine, opinavano risoluti pel suo mantenimento, e la lealtá, l’onore ci obbligavano Pio. — Oh ! non ci fu giuramento. — Basta bene che ci fosse impegno che risultava dal fatto medesimo, giacché posto che le franchigie date dai principi si potessero ripigliare, elle non sarebbero un benefizio ma uno scherno e un oltraggio. E se al pontefice fosse onesto ciò che si disdice a un principe secolare, converrebbe dar ragione a Benvenuto Cellini per ciò che disse della fede dei papi1, e al Guicciardini affermante che i pontefici per giustificare le fraudi loro hanno statuito «tra le altre cose che la Chiesa, non ostante ogni
contratto, ogni promessa, ogni benefizio conseguitone, possa ritrattare e direttamente contravvenire alle obbligazioni che i suoi medesimi prelati hanno solennemente fatte»2. Tanto piú che i cattivi esempi di Roma non sono mai infecondi e servono d’iniquo pretesto e di scusa agli altri principi. Forse Toscana e Napoli avrebbero osato rompere il patto, se Pio non toglieva loro il rossore di essere i primi?
Vano d’altra parte sarebbe il dire che le sommosse, le ribellioni, l’attentato verso il Rossi e la bandita repubblica, essendo altrettante violazioni del patto politico, diedero al papa balia d’infrangerlo. Né al popolo, che era una delle parti, dovevansi imputare i torti e gli eccessi di pochi, né il fatto può mai spegnere il diritto. Chi ha mai udito dire che la violazione di una legge l’abroghi? o che l’ingiuria abolisca la giustizia? Anzi si suol dire che la conferma. Che nuova spezie di giuspubblico è questo che per restituire e risarcire l’ordine offeso ci aggiunge nuove prevaricazioni? che abilita il principe per correggere i sudditi a ripetere aggravate le loro colpe? e quando esso principe non è fatto come gli altri ma tien le veci di colui che fu il modello di ogni virtú e di ogni perfezione? Forse i ribaldi