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Si dirá che la fiducia era vana e che un patronato civile, come quello di Pericle e di Lorenzo de’ Medici, netto delle sue macchie, era un’utopia o avrebbe rimesso il regno, che coi soliti errori si sarebbe di nuovo precipitato. Io non lo nego. Né intendo altro che di far lo storico, spiegare il corso della pubblica opinione, e conchiuderne che le speranze di questa mancarono per colpa non giá di chi le aveva concepute ma di coloro che dovevano adempierle. E in vero gli effetti mostrarono esser piú facile il succedere al nome che all’ingegno dei segnalati, e di rado o non mai accadere che uomini avvezzi per lungo tempo a tenere alcune massime per infallibili e a governare in un certo modo, entrino di tratto in una via diversa. Né l’esperienza bastò a far ricredere i conservatori, i quali amarono meglio di considerare la peripezia di febbraio come un accidente casuale che confessare di avere errato e mutar lo stile del loro procedere. Gli uomini mediocri, e spesso ancora i grandi, non sanno variare secondo i tempi, come nota il Machiavelli1, sovrattutto se colle cattive abitudini e col puntiglio concorrono ad accecarli gli spiriti faziosi, la cupiditá e l’ambizione. Avvezzi da molti anni a esser arbitri della cosa pubblica, non seppero rassegnarsi a dismettere il monopolio e accomunare il godimento degli onori e delle cariche, né a correre il rischio di perderlo per l’arbitrio delle elezioni. Le riforme economiche ancorché ragionevoli gli sbigottivano, perché gli avrebbero obbligati a rinunziare i privilegi e tolto loro la via d’impinguarsi coi sudori e colle miserie dei faticanti. E laddove tali riforme erano il solo modo di porre in sicuro la proprietá e impedire la propagazione dei sistemi che la pericolano, essi le confusero a bello studio con questi sistemi per renderle odiose, sfatandole sotto il nome generico di «comunismo» e di «socialismo» e facendo di queste voci lo spauracchio dei semplici. Cosí pretendendo alla guerra contro gl’instituti democratici e repubblicani l’amor del pubblico bene, non furono mossi in effetto che da un turpe egoismo e, non che provvedere, pregiudicarono alla proprietá,

  1. Disc., iii, 9; Princ., 25.