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libro primo - capitolo secondo 61


Queste colpe però non si vogliono tanto imputare a Luigi Filippo quanto alla fazione che aveva in pugno la cosa pubblica; fazione gretta, vana, presontuosa, cupida, corrotta, putrida sino al midollo. Allorché operava di proprio moto non era alieno dai sensi nobili e virtuosi, e quanto piú gravi furono i suoi infortuni tanto maggiore è l’obbligo di attestarlo. Nocque all’Italia non giá di voglia ma a malincuore, e cercò di giovarle quando era libero, come si raccoglie dai buoni consigli che diede al re napoletano1. Fu scarso del suo nelle spese inutili, ma largo nelle opere di pubblica magnificenza. Marito, padre, fratello buono egualmente: raro esempio sul trono di virtú domestiche e private. Sarebbe stato buon principe se avesse avuto idee piú ampie e non dato retta a consiglieri piú ambiziosi che savi, piú burbanzosi che idonei. Cadde rimessamente non per viltá (ché sempre ebbe cuore) ma per mansuetudine, a fin che il regno del piccolo nipote non cominciasse col sangue. La morale di corte può posporre la sua fuga e moderanza alla caduta superba e sanguinosa del precessore. Ma se la fine di Carlo, che suggellava il suo regno colla guerra civile, fu piú regia nel senso di Tacito2, quella di Filippo fu piú umana e cristiana; e l’onta di essa presso i posteri ricadrá su coloro che coi falsi consigli lo trassero al precipizio.

Compagno all’Orleanese nella sua rovina ma piú biasimato fu il principale de’ suoi ministri, in cui si vide che né un certo ingegno e il sapere, né la facondia e la perizia parlamentare e né anco l’amore dei progressi civili (onde la legge del trentatré sull’instruzione pubblica fa buon testimonio) possono supplire in chi governa al genio del secolo. Chiamo cosí quella giusta estimazione delle cose e dei tempi correnti, onde nasce la sagacitá pratica che genera l’antiveggenza. Chi non ha il genio del secolo non può conoscerne i bisogni, i desidèri, gl’istinti; e però ogni qual volta vuol fare stima del tempo suo, trasporta in esso senz’avvedersene le qualitá e le condizioni del passato,

  1. Massari, I casi di Napoli, Torino, 1849, p. 20.
  2. «Quasi regio facinore» (Ann., xvi, 23).