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scompigli di Livorno il governo di Torino si profferisse in aiuto, non è meraviglia che l’offerta si rifiutasse. Ma queste cose erano allora secrete: niuno potea subodorarle non che conoscerle; tutti credevano che il ministero subalpino promovesse efficacemente la confederazione e la guerra, come avea dichiarato nel suo programma; cosicché la colpa del Pinelli e de’ suoi compagni fu ascritta al Capponi ed al Rossi, l’ignavia municipale del Piemonte attribuita alla Toscana e alla Chiesa; e come il ministro romano trovò un fanatico che l’uccise per traditore, cosí il fiorentino ebbe a riportare eziandio dai savi il biasimo degli altrui falli.

Giuseppe Montanelli, ignorando come gli altri la vera causa della freddezza di chi reggeva e disperato dei principi in universale per la mala riuscita che facevano da piú di un anno, si rivolse ai popoli, e proclamando una Dieta universale sperò di accendere l’entusiasmo delle moltitudini e supplire al difetto dei governi senza ricorrere all’opera delle fazioni. Egli voleva creare una parte democratica che non desse ombra e spavento né agli amatori del buon ordine né agli uomini teneri delle credenze. Impresa degna di un animo nobile, ma piú facile a concepire che ad eseguire fra gli umori che bollivano, e aliena dagli ordini del nostro moto; imperocché essa divideva l’Italia in vece di unirla, debilitava il Piemonte in cambio di rinforzarlo, come dovea farsi finché era sperabile che ripigliasse l’ufficio egemonico, secondo avvenne quando la parte democratica sottentrò nel Consiglio ai fautori della mediazione. Oltre che, fuori


    volea che le divisioni si diminuissero in vece di moltiplicarle. La forza e l’indipendenza ricercavano che si fondasse a borea uno Stato valido, quasi difensivo di tutta la penisola. D’altra parte l’autonomia scambievole dei vari domini non correva pericolo mediante la confederazione, la quale rendeva superfluo l’equilibrio immaginato da Lorenzo de’ Medici per sortir quell’effetto. Considerata dunque in se stessa, questa parte delle instruzioni arguirebbe un municipalismo eccessivo e una politica non previdente. Ma se si ragguaglia col procedere dei ministri sardi, essa è ragionevole e irreprensibile. Da che questi aveano disdetta tante volte la lega e alterata la natura del Risorgimento italiano, bisognava ritornare alle massime del secolo decimoquinto e cercare nell’equilibrio quella guarentigia di sicurezza ai singoli Stati che non si poteva avere altrimenti.