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libro primo - capitolo undecimo 353

italico nella via diritta contro le arti e l’impeto delle fazioni, essi almeno preservarono lo statuto del Piemonte che era loro fattura; dove che il Mazzini e i suoi non edificarono del proprio altro che rovine e dispersero miserabilmente gli acquisti dei moderati.

Il contegno del Mazzini in Roma non fu piú savio e generoso che in Milano. Egli rifiuta l’unione col Regno sollecitata da molti egregi, e disdice ogni aiuto a Guglielmo Pepe offerentesi di affrancarlo1. Muove meraviglia il vedere che il partigiano teoretico dell’unitá assoluta, salito in seggio, rifiuti l’unione e ritorni al concetto di Cola e del Porcari; il che non potendosi in tal uomo riferire a riserva, nasce sospetto che procedesse da gelosia di chiari nomi e da paura di perdere la preminenza. Come ciò sia, fu gran disgrazia pei nuovi ordini che egli fosse loro preposto, avendo contribuito a screditarli e precipitarli2. «Senza Mazzini la repubblica romana non sarebbe caduta cosí di leggieri e con lei non sarebbe caduta ogni libertá»3. Egli rifiutò le proposte di Ferdinando di Lesseps, che avrebbero salvato almen gli ordini liberi e fatto sparagno di sangue se prontamente si accettavano4: prolungò la resistenza quando era disperata la difesa5, «fe’ durare ancora otto giorni la carnificina inutile»6, e la sua pertinacia costò la vita fra molti prodi a due giovani eroi, il Manara ed il Morosini7. Cosí la

  1. Pepe, L’Italia negli anni ’47, ’48 e ’49, Torino, 1850, p. 248.
  2. «L’esaltata fazione mazziniana era piuttosto tollerata che benevisa» (Dandolo, op. cit., p. 171).
  3. Bianchi Giovini nell’Opinione, 15 dicembre 1850.
  4. Lesseps, opp. sup. cit.
  5. Dandolo, op. cit., pp. 222-225.
  6. Ibid., p. 225.
  7. Ibid., pp. 234-240. «Oh! Iddio perdoni a coloro che furono cagione di tanta inutile strage. Ed essi in vero hanno tanto piú bisogno del perdono di Dio in quanto che, convinti di giá della impossibilitá di ogni ulteriore difesa, anche per attestazione dei piú intrepidi militari, si ostinarono contro coscienza nella continuazione di essa, e solo per poter dire: — Noi non cedemmo, — non ebbero ribrezzo di aumentare inutilmente il numero delle vittime. Eppure il volgo batte le mani e chiama ‘gloria dell’Italia’ chi fuor di pericolo, in seggio tranquillo e munito di salvocondotti, non arrischiava al piú che di affrontare il consueto agiatissimo esilio, mentre ha giá dimenticato o fra poco dimenticherá fino i nomi dei generosi che posposer la vita al loro dovere» (ibid., pp. 232, 233).
V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - i. 23