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libro primo - capitolo undecimo 351


tiara1, il Mazzini non pare acconcio ad appagarsi di un solo grado e vuol essere imperatore e papa nello stesso tempo.

Smisurato è l’orgoglio di quest’uomo nato per la rovina d’Italia. Le adulazioni de’ suoi cagnotti l’hanno sí accecato ch’egli «scambia l’amor della patria coll’amor proprio e vuol piuttosto veder bruciato il tempio che sacrato ad altri l’altar maggiore»2. La vanitá de’ suoi tentativi per lo spazio di quindici anni, l’esito infausto della ridicola impresa di Savoia, le tante carnificine inutili, le tante mosse riuscite a peggioramento delle cose nostre non bastarono a guarirlo. Quando un indirizzo politico, a cui non ebbe altra parte che quella di contrastarlo, prometteva alla povera Italia giorni migliori, s’egli avesse avuto fior di senno e di amor patrio, sarebbe dovuto starsi per non turbare il moto costituzionale con maneggi repubblicani fuor di proposito. E in vero, essendomi io abboccato seco per la prima volta in Parigi verso il fine del quarantasette, egli mi dichiarò tali essere le sue intenzioni; ma le parole erano cosí sincere che nel tempo stesso esortava secretamente i suoi «a giovarsi della presente agitazione, rivolgendola a vantaggio della Giovine Italia che avversa qualsivoglia monarchia, e ciò operare gridando: — Viva il duca di Toscana, viva Carlo Alberto, viva Pio nono»3. — Poco tempo dopo, scoppiata la rivoluzion di febbraio e incominciata in Italia la guerra nazionale, egli va in Lombardia e ci fonda una scuola, che coi giornali, coi crocchi, coi conventicoli semina la diffidenza verso il Piemonte e attende indefessamente a screditare e calunniare il re e l’esercito subalpino4. Io lo rividi in Milano, e lo trovai alieno non solo dal professare quei concetti di moderazione che mi aveva espressi in Francia, ma anco dal farne mostra. Né lo giustifica il dire che poco o nulla sperasse nell’impresa di Carlo Alberto: perché

  1. Guicciardini, Stor., xii, i.
  2. Farini, Lo Stato romano, t. ii, p. 204.
  3. Ibid., t. i, p. 323.
  4. «I fogli pubblici non cessavano dalle querele: ci si gittavano in faccia la viltá e il tradimento» (Bava, Relazione delle operazioni militari, p. 51). «Una stampa senza freno, che disconsiderava i buoni, esaltava le incapacitá e calunniava uomini di cuore, i quali meritavano sostegno ed incoraggiamento» (ibid., p. 101).