Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/335


libro primo - capitolo decimo 329


cognizioni legali e la pratica delle discussioni forensi lo metterebbero in grado di giovare alla patria, se sapesse ristringersi nel loro giro, e basterebbero a dargli lode nelle materie di pubblica amministrativa e nell’indirizzo dei piati parlamentari. Ma egli vuole a ogni modo timoneggiare la Stato: vuole ingerirsi nelle quistioni dov’è men competente, risolverle a suo grado e imporre a tutto il mondo le sue risoluzioni. Se non è chiamato alla partecipazion del potere, egli vi s’intrude con quelle nobili arti che abbiamo vedute, ancorché debba a tal effetto soprusar la fiducia d’altri, calpestare i riguardi e le ragioni dell’amicizia. Salito in sella, vuol governare a bacchetta e che i colleghi come sudditi l’ubbidiscano; e ancorché ogni cosa vada in malora fra le sue mani, non sa risolversi a uscire se non necessitato1. O forse egli tempera un’ambizione cosí tenace colla docilitá agli altrui ricordi e agli ammaestramenti autorevoli dell’esperienza? Oibò. Si è veduto che caso facesse de’ miei consigli, benché mi chiamasse «maestro»; e io non posso dolermene, poiché non ebbe in maggior conto l’autoritá di Pellegrino Rossi2. I posteri non vorranno credere che un causidico del Piemonte, mediocre d’ingegno, oscuro fuori della sua provincia, soro alla scienza e novissimo alla pratica dei maneggi civili, abbia voluto dar legge ad un illustre italiano esaltato dalla Francia alle prime cariche, esercitato da trent’anni negli affari pubblici, autore di opere riputatissime, riverito e ammirato pel singolare intelletto, la dottrina squisita e vastissima e la rara abilitá politica da tutta Europa. Il rifiuto della lega italiana e delle armi francesi (mentre si lasciava in ozio una parte notabile delle proprie) furono errori gravi ma scusabili per la prima volta, atteso l’entusiasmo inconsiderato di quei giorni, in cui l’Italia parea risorgere per miracolo senza con-

  1. Un giornale scrisse che il Pinelli «lasciò due volte spontaneamente il governo». Quanto alla prima l’asserzione è del tutto falsa, come si può raccôrre dalle cose dette. Riguardo alla seconda è almeno inesatta, poiché la rinunzia fu causata dal dissenso cogli altri ministri.
  2. Consilii... quamvis egregii, quod non ipse adferret, inimicus et adversus peritos pervicax» (Tac., Hist., i, 26).