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piú attivi ed infervorati erano seco ristretti per consorteria di ufficio, conformitá di vivere e assidua dimestichezza. Pieni di sdegno per la sconfitta parlamentare e di terrore pei privilegi minacciati della metropoli, essi cominciarono sin d’allora ad accarezzarlo: gli si raccoglievano intorno, lo applaudivano, lo corteggiavano; e mentre lo predicavano al pubblico per un solenne maestro in governo, mettevano a lui in concetto di dappochi o di tristi coloro che dissentivano. Gli dicevano che io era uomo di teorica e non di pratica, che non conosceva i miei simili, che era aggirato dai democratici. Che chi è buono a scrivere è inetto alle faccende, e che se il Risorgimento era stato incominciato dagli scrittori, ragion voleva che fosse condotto innanzi e compiuto dagli avvocati. Perciò non io solamente, ma il Balbo, l’Azeglio, il Durando e quanti aveano scritto con senno italiano sulle cose nostre erano tassati per incapaci e involti nello stesso anatema. I miei discorsi e il mio contegno, non che tôr credito a questi romori, in certo modo gli avvaloravano. Imperocché ragionando io delle cose presenti e della nostra provincia colla stregua delle probabilitá avvenire e delle condizioni universali dei tempi, e additando nei falli che si commettevano i pericoli e i mali futuri, io veniva ad usare un linguaggio strano ed incomprensibile a tali uomini, che non avevano alcun concetto del moto patrio e conoscevano l’Italia e l’Europa quanto la Cina. L’arrendevolezza ch’io usava col Pinelli contribuiva a fargli credere ch’io fossi facile ad aggirare, recando a debolezza o versatilitá d’animo ciò che era fiducia e condiscendenza di amicizia. Cosí invanito dagli elogi, sedotto dalle trame, impegnato dalla sua giostra infelice nella Camera, acceso dal puntiglio, irritato dalla disfatta, vago di rappresaglia, egli si strinse colla setta a cui giá era propenso, e si credette bonamente un grand’uomo di Stato perché i politici di campanile come tale lo celebravano. Non avvertí che le patenti di abilitá date dagl’inetti sono poco autorevoli, che in fatto di riputazione non bisogna contare i suffragi ma pesarli, e che il numero di essi nelle cose ardue corre spesso a rovescio dei meriti che li riscuotono.