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Consiglio subalpino e fossi l’anima della sua politica. Oltre il biasimo e l’onta delle prese deliberazioni, sarei rimasto a sindacato di quelle che erano per seguire, e in particolare della pace, che dopo tali antecedenze non poteva essere altro che ignobile. Temeva eziandio che non si trascorresse fino a stringere una lega austriaca, di cui sapeva il Delaunay e il Pinelli desiderosi. La fiducia che questi fosse divenuto piú docile e piú savio era affatto svanita, poiché i fatti recenti ne chiarivano l’imperizia stupenda e l’incurabile ostinazione. Per ultimo il mandato del nuovo plenipotenziario per conferire i negoziati della pace colla Francia e coll’Inghilterra mi proscioglieva da ogni carico per questa parte, e mi mostrava che caso facesse il Pinelli della sua parola. Quest’ultimo tratto finí di convincermi che l’amico avea dimenticate le sue lacrime dei 28 di marzo, troncò ogni mia incertezza; e prima che arrivasse il nuovo imbasciatore, mandai a Torino la mia rinunzia e come legato e come ministro.

Ma se l’aiuto della Francia non si voleva, perché inviarmi a Parigi? Non per altro che per togliermi da Torino: l’ambasceria in tal caso mirava all’ambasciatore. Giá l’idea generosa era nata nei cervelli municipali, allorché io mi divisi dal Pinelli in proposito della mediazione; e gli amici di questo lo andavano dicendo fra loro1. Io non avea voluto in quei termini abbandonare il paese, ché ogni speranza non era estinta. Ora il caso era diverso; e fin da quando m’era accollato l’incarico di venire a Parigi ambasciatore, avea deciso di rimanervi privato se la missione non riusciva. Perciò la mia risoluzione concorreva col desiderio dei ministri: questo era il solo punto in cui

  1. Io aveva allora l’intenzione di fare una scorsa a Parigi per certi miei affari; e il Pinelli, giá ministro, mi offerse la legazione di Francoforte. Cotal proposta, aggiunta ai romori benevoli che correvano, mi fece rinunziare alla gita e rifiutare l’ambasceria. Il Pinelli nella sua relazione attribuisce il rifiuto non mica a me ma al ministero. «Divenne impossibile usare in una missione diplomatica un uomo che cosí parlava del nostro governo» come io feci nello scritto dei Due programmi (Alcuni schiarimenti ecc., p. 7). Io non so che cosa pensasse il governo; ma io posso affermare sull’onor mio che quando significai al Pinelli di non accettare la commissione, egli non mi diede il menomo indizio di aver mutato proposito.