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libro primo - capitolo nono 279


scopo. Pur tutt’altra non si può che dilungarsene. L’Italia giá vittima di tanti errori avrebbe da piangerne uno di piú»1. Voi lo faceste tal errore, signori ministri municipali, e come aveste la gloria di cominciare, cosí ben vi si addisse quella di compiere l’eccidio italico. Non lo dico io ma lo grida un Pellegrino Rossi, le cui parole fatidiche tramanderanno ai posteri la vostra condanna scritta a caratteri indelebili dal piú insigne politico dei nostri tempi.

E il magnanimo periva pochi giorni dopo, trafitto barbaramente dal ferro di un assassino. Quando egli dicea che «Roma può assicurare la vita de’ suoi ospiti»2, niuno avria antiveduto che l’autore di queste parole sarebbe stato vittima egli stesso della pia e generosa fiducia. Ma forse egli ne aveva il confuso presentimento, perché all’indegnazione che avvampa nel prefato discorso si vede un uomo a cui tolta è di mano l’ultima áncora delle sue speranze. Egli si accorgeva mancargli quell’aura di fama popolare e di credito, che pur gli era necessaria a fornir l’impresa di assodare la libertá romana, corredarla di savie leggi e di buoni ordini amministrativi e trasferire nei laici il maneggio delle cose civili. La lega disegnata, effettuandosi, gliela porgeva. Non si sarebbe trovato uomo che osasse levare le scellerate mani contro il fondatore dell’anfizionia italica. L’idea nazionale dell’unione, dissipando le calunnie dei malevoli, gli sarebbe stata di egida, e il congresso romano di guardia e di patrocinio. Ma gli tolsero ogni presidio i ministri sardi, facendolo bersaglio all’odio dei fanatici e alle maledizioni del volgo colla stolta loro politica, la quale non solo costò la libertá, l’onore, il nome all’Italia, ma la vita al piú illustre e al piú nobile de’ suoi figli.

Gli eventi non pure avverarono in breve, ma superarono i tristi presagi ch’io aveva fatti. Mancata la speranza delle armi subalpine, i puritani presero ardire e acquistarono il rinforzo di molti valorosi che prima gli avversavano, i quali, disperando ormai di vedere l’Italia redenta dal principato, si volsero alla

  1. Farini, op. cit., t. ii, pp. 383, 384.
  2. Ibid., p. 383.