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libro primo - capitolo nono 241


mai bene in pace e che fece sempre male in guerra»1. Ora poiché il fallo era commesso e che le popolazioni lombardovenete e i loro rettori imitato lo avevano (non per difetto di buon volere, ma le une per mancanza di chi desse il segno e l’esempio, gli altri per istudio di legalitá scrupolosa), i ministri piemontesi doveano supplire, promulgando essi il regno dell’alta Italia, recandosi in mano la somma delle cose civili e militari, sperperando i faziosi che colla lingua, colla penna e colle congiure aiutavano in casa le armi dell’inimico. Non doveano tollerare che vi fossero piú signorie; e il Pinelli si dolse giustamente che colle consulte di Milano e di Venezia fornite di potestá sovrana «si creassero due anzi tre governi»2, benché egli guastasse la sua ragione, inframmettendo al punto che importava le gelosie della metropoli e i vani timori della futura Dieta.

Ma Cesare Balbo e i suoi colleghi, non che farla da dittatori com’era d’uopo, non si ardirono pure a esser ministri costituzionali, e lasciarono che il principe capitanasse l’esercito, quando la nota incapacitá sua dovea avvalorare la regola ordinaria che toglie al sovrano inviolabile i carichi di sindacato. Cosí le armi ebbero piú capi come il governo e cenni discordi: ai consigli dei periti spesso prevalsero i voleri capricciosi del principe; e quindi gl’indugi funesti, i súbiti disastri e le miracolose perdite. Il dire che niuno osasse proporre cotal rinunzia al re liberatore è una magra scusa, la quale anche non ispiega molti errori commessi nell’indirizzo delle armi piemontesi, né il segregamento delle altre schiere tardi e non mai bene raccolte sotto un solo vessillo. Le truppe di riserva furono lasciate in riposo, come se le forze abbondassero o che nelle guerre d’indipendenza, dove bisogna al possibile armare eziandio la plebe, debba restare oziosa una parte della milizia. Ho giá avvertito piú addietro che il rifiuto delle armi francesi, lodevole se si fossero usufruttate debitamente le proprie, è impossibile a giustificare nel caso contrario, e dá luogo a dubitare se Cesare Balbo

  1. Stato romano, t. ii, p. 203.
  2. Op. cit., p. 15.
V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - i. 16