Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/246

240 del rinnovamento civile d'italia


Toccava ai ministri sardi, se fossero stati concordi e antiveggenti, il pacificar gli animi, cogliere il vivo delle quistioni, dissipare i vani timori, distinguere il principale dagli accessori, far prevalere la parte savia; essendo ufficio del magistrato esecutivo il dar buon indirizzo al parlamentare, massime quando è novizio e inesperto come la Camera piemontese. Se non che il primo dei loro falli non fu quello di lasciar senza guida il parlamento, ma il convocarlo troppo presto e in tempo che si doveva usare la dittatura. Carlo Alberto avea promulgate dittatoriamente le riforme e poi lo statuto e la legge delle elezioni; divenuto principe civile, i suoi ministri doveano condurre l’impresa della guerra e dell’indipendenza allo stesso modo. Era somma incautela il vincolarsi colle pastoie di un’assemblea priva di esperienza, vaga di cavilli, intemperante di parole, commossa da spiriti partigiani, piena di avvocati; quando si richiedeva sopra tutto unitá di consiglio e di comando, prestezza e vigore di esecuzione, lo accennava in tempo questa veritá, scrivendo che «le assemblee non hanno mai le prime parti nei grandi rinnovamenti sociali; che esse non incominciarono il Risorgimento italiano e potrebbero piuttosto annullarlo che compierlo se fossero guidate dal senno di coloro che le invocano; e che non vi ha esempio di un popolo che sia rinato o abbia vinti grandissimi pericoli per via di consulte e di deliberazioni, ma tutti dovettero la loro salvezza all’inspirazione dell’ingegno individuale e della dittatura»1. Non piacendo a Cesare Balbo il mio consiglio, avrebbe almeno dovuto ricordarsi che «anco quando le assemblee intervengono, l’indirizzo sostanziale delle faccende dee nascere da uno o pochi uomini»2, e reggere l’impresa con questa norma. «Carlo Alberto — dice il Farini — commise il gravissimo fallo di non recarsi in mano il governo appena posto il piede in Lombardia, e di lasciare alla moltitudine quell’autoritá non temperata da alcun freno, che non fece

  1. Apologia, pp. lxii, lxiii.
  2. Ibid.