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E ciò che piú rileva, si sarebbe potuto metter subito in opera le forze lombarde (e anco le altre, se Venezia era rapita dal nobile esempio), avendo spazio di arrolare i soldati, disciplinarli, agguerrirli; tanto che dopo qualche mese il nuovo Stato potea essere in armi e il vecchio esercito duplicato almeno per le minori fazioni1. Chi non vede pertanto che la sola celeritá dell’unione ci dava vinta la causa e che, sí per l’impressione morale sí per l’aumento delle forze, equivaleva a una disfatta tedesca?

Poiché il moto popolare non ebbe luogo, restava che i rettori provvisionali di Milano supplissero e stanziassero per decreto ciò che fatto non si era altrimenti. Ma quegli uomini onorandi, leali, illibati peccarono per bontá soverchia, attenendosi con troppo scrupolo a certe massime giuridiche che non sono accomodate ai tempi di guerra e di rivoluzione. La legalitá eccessiva diventa anarchia nei giorni torbidi, e nelle cittá giova solo ai faziosi, nel campo ai nemici. Chi governa in tali frangenti e ha la fiducia pubblica dee chiedere al popolo la dittatura; e se il tempo e l’opportunitá mancano per impetrarla, dee pigliarsela e usarla nelle strette occorrenze, sicuro che egli interpreta l’intenzione dei savi e che la virtuosa audacia sará benedetta dalla nazione. Cosí la signoria di Milano avrebbe potuto imbrigliare la stampa perturbatrice, spiantare il nido dei puritani, promulgare il regno dell’alta Italia, con patto e salvo che gli ordini di esso si statuirebbero in una Dieta universale, vinta la guerra e assicurata l’indipendenza. Questo era il capo di maggior momento a cui ogni altro riguardo si dovea posporre, imperocché quando i popoli posseggono l’autonomia e l’unione è facile il conseguire o mantenere la libertá. Si vide allora come un error dottrinale possa nuocere alle imprese meglio avviate.

  1. «Nel mentre che il re di Napoli richiamava dal campo con minacce i due battaglioni del decimo, i quali facevano ancora parte dell’esercito, noi aspettavamo tuttora le truppe della Lombardia mille volte promesse e non mostrantisi mai sul nostro orizzonte. Giunsero in fine dodici battaglioni di riserva, misti di piemontesi e lombardi; ma erano senz’armi e senza divisa», ecc. (Bava, Relazione delle operazioni militari, Torino, 1848, pp. 49, 50).