Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/187


libro primo - capitolo settimo 181


e i mali che le accompagnano non voglionsi imputare a quelli che dan fuoco all’esca ma a coloro che l’ammanniscono. Considerata la cosa per questo verso, i primi autori delle rivoluzioni non sono i democratici ma i conservatori e i governi che le precedono. E si può stabilire generalmente che ogni Stato autorizza la rivolta contro se stesso, quando nega in teorica o non usa a tempo in pratica il principio riformativo. L’immutabilitá delle instituzioni, escludendo ogni progresso, spianta la base della civiltá umana e legittima le rivoluzioni, perché piú innaturale e nociva di esse. Perciò fino dai tempi antichi Ippodamo da Mileto la ripudiava, e Aristotile non si appaga di approvare la sua sentenza, ma la corrobora tratteggiando la dottrina del progresso in ogni genere di disciplina1.

Quando un governo è accessibile alle riforme, le rivoluzioni non sono piú necessarie, e però diventano inique ed innaturali. Né rileva che per tal via l’acquisto del bene sia piú tardo e lento, imperocché tanti sono i pericoli e i mali delle violente vicissitudini che solo l’estrema necessitá le giustifica, e i danni dell’indugio vengono compensati da un utile di gran lunga maggiore. Perciò errano quei democratici i quali, sostituendo alle riforme i rivolgimenti sociali, stabiliscono per aforismo che «il progresso ordinario della civiltá si dee fare per via di rivoluzioni». Quasi che queste sieno uno stravizzo per loro come il contagio per quei sergenti che cercavano di perpetuarlo, e l’epiteto elegante di «rivoluzionario» sia atto a contrassegnare lo stato nativo e abituale del convitto civile. Si dee dire delle rivoluzioni il medesimo che delle guerre, le quali non sono pur lecite ma pietose quando si pigliano a difesa e per amore della giustizia. Ma siccome da un canto la guerra non appartiene allo stato regolare del consorzio umano, e dall’altro canto le rivoluzioni sono battaglie civili e quindi peggiori di tutte; siccome esse importano un divorzio tra lo Stato e i cittadini, una dissoluzione della civil comunanza, un predominio della forza brutale, un ritorno a quello stato eslege e selvaggio

  1. Polit., ii, 5, ii, 12. Il passo merita di essere notato perché di un antico.