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libro primo - capitolo settimo 147


scosta dal vero; tanto che il vero e non l’arbitrio della specie umana è la legge e il giudice supremo.

Né la volontá generale nei casi pratici è mai quella di tutto un popolo, essendo cosa piú miracolosa che rara l’unanimitá assoluta in un partito qualunque. La volontá generale si riduce dunque in effetto a quella dei piú o dei loro delegati, i quali possono in mille modi e per molte cagioni forviarsi e sbagliare. Dante osserva che «le popolari persone molte volte gridano: — Viva la lor morte e muoia la lor vita, — purché alcuno cominci»1. Il Machiavelli, che insegna «il giudizio popolare nelle cose particolari circa le distribuzioni de’ gradi e delle dignitá non ingannarsi, e se s’inganna qualche volta», ciò accadere di rado, confessa che nelle altre cose il negozio corre altrimenti2. Che piú? Nel libro che è tuttavia per alcuni una spezie di evangelio politico, si legge che la volontá generale può essere ingannata3; il che esclude l’inerranza e rende assurda l’onnipotenza. Né la prima si potrebbe ascrivere al maggior numero, senza assegnargli quel grado di esperienza, di stimativa, di senno, di accorgimento, di sapere, che si ricercano a distinguere il vero reale dall’apparente. Ora il maggior numero è volgo, e quanto abbonda di quel senso che da lui appunto riceve il nome di «volgare», tanto manca o scarseggia del senso retto. Certamente nei popoli avvezzi alla vita civile il maggior numero si fa ogni giorno piú savio e può giungere a tal grado di assennatezza che raramente s’inganni, come nei popoli novizi l’esperienza e il tempo lo fanno ricredere de’ suoi falli. Ma ciò conferma la mia sentenza e prova che in ogni caso la volontá del maggior numero non può aver forza assoluta di legge se non in quanto si conforma colla ragione e col vero. La ragione adunque, e non la volontá generale semplicemente, è la legge suprema; onde «ragione» nel nostro idioma suona anco «legge» e «diritto». La dottrina della sovranitá della ragione, professata ultimamente

  1. Conv., i, ii.
  2. Disc., i, 47.
  3. Rousseau, Contr. soc., ii, 3; iv, i.