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libro primo - capitolo sesto 123


piú capitale, ella riesce sterile; contraddicendogli, diventa odiosa. Come l’ha resa in Francia Carlo di Montalembert col predicar la crociata contro la plebe1, concitarla alla rivolta per opprimerla, giustificare in termini assoluti le gravezze che chiamansi «indirette»2, condir l’orgoglio, l’insolenza, il furore colla divozione e promulgare in nome di Cristo le massime piú schife e brutali del gentilesimo. Quanto è diverso il linguaggio della religione! Gli apostoli, i padri, che son pieni di rimproveri acerbi e d’invettive spaventevoli contro i ricchi3, non hanno pei poveri che parole di amore e di consolazione; e Cristo gli abbraccia come la parte piú cara della sua Chiesa. Ora gli Stati, in cui la porzione piú preziosa del regno celeste è la piú misera e derelitta quaggiú, ed è tenuta dalla cupidigia degli uni, dall’incuria degli altri in perpetua miseria, meritano forse il nome di cristiani? non sono anzi una solenne protesta e, come dire, una bestemmia vivente contro l’evangelio e le sue dottrine?4

  1. Si allude alla Expédition de Rome à l'intérieur
  2. Nel suo discorso all’assemblea legislativa dei 13 di dicembre del 1849.
  3. Veggasi ad esempio san Giacomo nel quinto. La parabola di Lazzaro è il fondamento di tutta questa dottrina.
  4. «Ogni qual volta la Chiesa si sequestra dalla coltura, nasce issofatto un’intrinseca contraddizione tra il genio essenziale della religione che predica e i termini con cui si porta nelle sue attinenze col secolo. I ministri di essa sono sforzati ad usar due linguaggi e seguir due norme differentissime, secondo che parlano o insegnano nel fòro o nel santuario. In questo l’ignoranza è combattuta come effetto e sorgente di corruttela, in quello essa si vanta e s’inculca come salutevole retaggio della plebe. In chiesa si esaltano le opere di clemenza e di misericordia, fuori di essa si levano a cielo le azioni disumane e spietate e con ipocrito palliativo si coonestano col nome della giustizia. Si predica dal pulpito ai doviziosi il debito della limosina e si minaccia il fuoco eterno a chi non diffonde nei poveri il superfluo delle sue ricchezze; e poi s’impedisce che i governi diminuiscano con buone leggi la disuguaglianza delle fortune, e si mette persino ostacolo a quelle instituzioni benefiche che hanno per iscopo di scemare la poveraglia. I deboli, gli abbietti, gl’infelici son tuttavia i prediletti di Dio e la porzione piú preziosa del suo regno; e pur se ne deridono i gemiti, se ne disprezzano le querele, se ne calcano i diritti a capriccio dei grandi, dei potenti, di tutte quelle classi corrotte e superbe, cui l’evangelio condanna con terribili anatemi sotto il nome generale di «mondo», assegnando loro per sorte le tenebre e per capo il principe della geenna. La ripugnanza potrebbe esser maggiore? Ma essa è inevitabile, da che i ministri della religione trascorrono ad abbracciare senza avvedersene una politica contraria alla morale che professano. La morale evangelica è essenzialmente democratica, poiché fondata nel dogma della ugualitá naturale e della fratellanza» (Apologia, p. 16).